Uccellini dalla voce malignamente insistente mi dicono che i partiti schierati sul fronte del “no” al referendum ottobrino non paiono impegnarsi con particolare entusiasmo nella raccolta delle 500mila firme, promossa dal comitato referendario costituito proprio per sostenere quello stesso “no”. Qualche vocina particolarmente maligna arriva perfino a parlare di boicottaggio.

Quale follower di umilissima base in tale raccolta, mi sforzo di capire la ragione sottostante a quanto segnalato; visto che il mancato raggiungimento dell’obiettivo offrirebbe a Matteo Renzi & Co. argomenti di un qualche effetto probatorio per sostenere lo scarso seguito popolare di chi contrasta il progetto reazionario in corso (Italicum + Deforma Costituzione).

Eppure le ferite non ancora suturate della “Lista Ingroia” riportano alla mente la vicenda suicida di mediocri ambizioni che, con le loro indebite velleità di protagonismo, soffocarono il sensato e opportuno tentativo di dare vita a un soggetto organizzato che potesse rappresentare a tuttotondo, senza vincoli impropri e contraddizioni l’istanza di AltraPolitica. Operazione che fallì per l’inestirpabile reducismo di sopravvissuti ai mille naufragi della sinistra (dis)organizzata, pervicacemente avvinghiati a qualsivoglia opportunità di auto-promozione.

Ricordate? Si era all’appuntamento elettorale per le elezioni politiche 2013 e l’allora magistrato superstar Antonio Ingroia apparve come il possibile punto di aggregazione di una “rivoluzione civile” per l’uscita democratica e progressista dalla Seconda Repubblica in caduta libera. Tentativo finito nel ridicolo non (solo) per l’imitazione caricaturale, esilarante al limite dell’irrisione, che Maurizio Crozza fece del leader dell’operazione; bensì per il carro di Tespi allestito da Ingroia: aggregazione cancellata all’istante dal 2% dei suffragi raccolti e aggregatore sprofondato rapidamente nell’anonimato (nonostante improvvidi tentativi di riemergere, frustrati sul nascere dalla cronica maldestraggine del soggetto).

L’anno dopo fu la volta della “Lista Tsipras per l’Europa”, nata per sfruttare l’immagine dell’astro nascente greco, subito circondato da una pattuglia di ex sessantottardi interessati a sfruttare l’occasione per i propri narcisismi. Con il bel risultato che se il progetto veniva accreditato a inizio 2014 del 7% dei consensi, nel maggio successivo, all’apertura delle urne, questi si erano ridotti al 4,03%; tanto da vanificare sul nascere l’iniziativa, che ha prodotto come unico risultato la possibilità per due noti giornalisti (Curzio Maltese e Barbara Spinelli) di svernare a Bruxelles in attesa che si chiarisca meglio quanto avviene nel loro ambiente di lavoro, nella redazione de la Repubblica. Anche in questo caso un fallimento politico all’insegna della strumentalizzazione personalistica; ben prima che lo stesso uomo immagine – Alexis Tsipras – venisse scalpato dai tecno-boiardi dell’Unione, in combutta con la lady killer luterana Merkel e i suoi panzer.

Con siffatti precedenti non c’è da stare tranquilli. Specie se i partitini nosferatu dei professionisti del presenzialismo continuano a esercitare un controllo improprio su iniziative – diciamolo – finalizzate al loro superamento. Ed è un grosso guaio, visto che il renzismo dà segni di involuzione, come dimostra la messa in scena da parte dei suoi spin-doctor dell’affare D’Alema (divorato dai risentimenti, ma non al punto da dimenticare di essere una vecchia volpe della politica): evidente costruzione di un alibi per fallimenti del premier in arrivo. Come conferma la ministra Boschi telefonista e terrorista verbale: ennesima prova che “sti/ste qui” si sentono in diritto di calpestare ogni regola e piegare le norme a capriccio.

Segnale di debolezza che rischia di venire vanificato dall’insanabile famelicità di vecchi arnesi, intenzionati a occupare la scena pubblica costi quello che costi. Laddove hanno già fallito a sufficienza, dove non hanno più nulla da dire.

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