Oggi voglio discutere di alcune dinamiche della politica britannica che hanno implicazioni globali. Il tema è quello del capitale sociale, un concetto che ha molto influenzato il mondo politico negli ultimi vent’anni. La mia storia parte dalla campagna elettorale inglese del 2010, frangente in cui emerse la proposta di Cameron di costruire una Big Society. L’idea era semplice: servono incentivi alla partecipazione civica e alla creazione di capitale sociale per creare nuovi servizi e ridurre il ruolo dello Stato. Qualcuno ricorderà lo slogan della Thatcher – ‘there is no such a thing as society’ – la società non esiste, ci sono solo individui e famiglie, e il governo non può fare molto per loro. Nel 2010 i conservatori sembravano abbandonare quella vulgata per abbracciare l’idea che la società non è un semplice raggruppamento d’individui.

Tuttavia, come dimostrato dalla ricerca che ho condotto con Alessandro Arrigoni, nonostante l’idea di Big Society abbia avuto un picco di popolarità tra il 2010 e l’inizio del 2011, la strategia lanciata da Cameron è rapidamente sparita dal dibattito pubblico. Nel 2012 solo il 9% dei britannici dichiarava che la Big Society avrebbe contribuito a migliorare la qualità dei servizi sociali, mentre prevalevano gli scettici (il 73%). In aggiunta, il coinvolgimento dei britannici nel volontariato – quello che la Big Society voleva promuovere – è drasticamente calato dall’inizio della crisi. Ma perché un’idea così intuitiva come quella della Big Society non ha convinto? La risposta è che in un periodo caratterizzato da crisi economica e crescita delle disuguaglianze, l’obiettivo di veder crescere il capitale sociale non sembra credibile ed è in contraddizione con le politiche di austerità implementate dai conservatori.

L’idea di capitale sociale fu portata alla ribalta da Putnam, professore ad Harvard, che con uno studio sulle Regioni italiane riuscì a trasformare un dibattito accademico in una discussione globale. Putnam suggerì che la democrazia americana era in pericolo perché la partecipazione sociale e politica dei cittadini stava crollando. Il politologo fotografò questo declino con la metafora degli americani sempre più propensi a giocare a bowling per conto loro invece che in gruppo (nel libro Bowling Alone). Questo gli valse interviste su People e l’invito a conferire a Camp David con l’allora presidente Bill Clinton.

Putnam si richiamava ad Alexis de Tocqueville, che aveva asserito due secoli prima che la solidità della democrazia americana era dovuta alla capacità dei suoi cittadini di agire insieme. Tuttavia Putnam, nel proporre il capitale sociale come antidoto per salvare la democrazia, aveva ignorato il grande insegnamento del suo predecessore: il capitale sociale e la partecipazione non fioriscono se permangono forti disuguaglianze. Con l’idea di capitale sociale, Putnam aveva lanciato il messaggio che i legami sociali sono in tutto e per tutto simili al capitale finanziario. Aveva assunto che l’impegno nella comunità e la partecipazione sono assimilabili all’attività economica individuale. Tuttavia, la parola capitale è legata allo sviluppo di un sistema economico basato su individualismo e competizione; concetti questi in contrasto con il modello di virtù civica proposto in Bowling Alone.

Nonostante questa contraddizione, il suggerimento di rinnovare la democrazia con il capitale sociale ha viaggiato dagli Stati Uniti all’Europa. Nel Regno Unito, la Third Way e la Big Society hanno unito laburisti e conservatori nel chiedere ai cittadini maggiore impegno sociale. Durante gli anni Novanta, il New Labour di Blair cambiò obiettivo, spostando il focus dalla necessità di ridurre la disuguaglianza a quella di accrescere il capitale sociale. Nel 2010 la Big Society si poneva in diretta continuità con la Third Way di Blair. I conservatori sostennero che una nazione si esprimeva al meglio solo se i legami sociali e il senso di cooperazione fra i cittadini fossero stati forti. Tuttavia, durante una crisi economica, è difficile coniugare un discorso politico basato sulla promozione del capitale sociale con la sistematica implementazione delle politiche di austerità. Mentre negli anni novanta il capitale sociale aveva fatto breccia, il rapido accantonamento della Big Society segnala la sua fase discendente. Il discorso sulla necessaria creazione di capitale sociale non può nascondere che le politiche neoliberali contribuiscono a ridurre la partecipazione civica.

In conclusione, redistribuzione e solidarietà – necessarie ad accrescere il capitale sociale – confliggono con competizione e individualismo, idee che formano lo zoccolo duro del pensiero neoliberale. C’è una forte tensione tra l’individualizzazione dei diritti perseguita da laburisti e conservatori e il richiamo a creare capitale sociale. Diventa sempre più difficile accusare gli individui per gli sconquassi strutturali che stanno vivendo. In questo contesto sperare di salvare la democrazia accrescendo la partecipazione civica individuale è solo un richiamo retorico. Un richiamo che sa di rinuncia della politica ad affrontare i problemi collettivi che ci affliggono.

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