Mi sono imbattuto in questa storia mentre preparavo un’inchiesta sui “minori non accompagnati” e non riesco a levarmela dalla testa. Leggendo un articolo di giornale c’è spesso la cattiva abitudine di voler trovare una morale. Questo articolo è pro o contro gli immigrati? È pro o contro le coppie gay? È pro o contro? La storia che vi voglio sottoporre ha come protagonista una bambina immigrata e una famiglia italiana “tradizionale”, ma non ha nessuna morale. È solo una testimonianza di quanto può essere sfaccettata, assurda e cinica la realtà della vita. Non richiede morali, né giudizi.

Orange County News - April 30, 2011Quando Claudia e Fausto la videro per la prima volta Lucila era alta poco più di una bambola. Li fissava con quegli occhi blu in silenzio, ma nel suo sguardo di bambina si leggeva distintamente quello che avrebbe voluto dire loro nella loro lingua, se la avesse saputa parlare: “Vi prego portatemi con voi! Portatemi via di qui! Vi prego!”. L’orfanotrofio di Santa María de Conceptìon, in Cile era il posto più triste che Claudia avesse mai visto nella sua vita. Non aveva mai nemmeno immaginato potesse esistere un posto così al di fuori di un romanzo di Dickens. La pareti erano intrise di umidità, i bambini dormivano ammassati gli uni sugli altri e aveva avuto la sensazione che gli inservienti che lavoravano lì fossero violenti con i bambini, aveva sentito delle grida in lontananza, ma non aveva avuto il coraggio di chiedere nulla. Scegliere quale bambino prendere e quale lasciare lì non era una decisione semplice, non era una scelta che potesse essere presa a cuor leggero. In quel posto Claudia si sentiva in una situazione surreale, da come trattavano i bambini le sembrava di essere in un negozio di scarpe, con la commessa che spiega i pregi dei vari modelli. Ma quello non era affatto un negozio di scarpe.

Claudia però non aveva avuto alcuna esitazione, lo sguardo di Lucila l’aveva trafitta. Voleva lei. Lei e nessun’altra. Claudia e Fausto avevano provato per molti anni ad avere un bambino senza successo, così avevano deciso di intraprendere la strada non meno semplice della adozione. Si erano sottoposti a lunghi colloqui, erano stati in Cile diverse volte, poi finalmente erano riusciti a tornare a casa con quel piccolo fagottino di bambina. Però essere genitori, l’esperienza che tanto avevano voluto vivere, non era affatto come se la aspettavano. Lucila era una bambina che aveva sofferto molto, che era stata picchiata e “chissà in quello squallido orfanotrofio cosa davano ai bambini per tenerli tranquilli” ripeteva Fausto. Una volta arrivata a casa, in una piccola provincia italiana, quella bambina dagli occhi meravigliosi si era rivelata molto impegnativa da gestire. Era sempre agitata, spesso scoppiava a piangere senza motivo o si svegliava nel sonno urlando frasi in spagnolo. Era passata solo qualche settimana quando Claudia iniziò a svegliarsi nel cuore della notte con la sensazione orribile di avere nella stanza accanto una sconosciuta, una straniera che dormiva sotto il suo tetto, che non parlava la sua lingua, una piccola selvaggia indomabile. Claudia si lasciò sopraffare dall’angoscia, smise di dormire, di mangiare e fu presa in cura da un analista. Era caduta in una grave depressione nervosa.

Fu a quel punto che Fausto prese quella decisione così difficile, così inumana. Prese per mano Lucila, caricò in auto una valigia e la accompagnò in una struttura per “minori non accompagnati”. Lucila fu abbandonata nuovamente. Di nuovo sola. A sette anni aveva già subito più angherie di quelle che molte persone avrebbero potuto sopportare in una vita intera ed ora veniva nuovamente abbandonata dalle due persone che aveva appena imparato a chiamare mamma e papà. Oggi Lucila vive con le suore di carità. È in un limbo burocratico. Non può nemmeno essere adottata nuovamente perché risulta ancora figlia di Claudia e Fausto. Deve attendere che l’adozione venga in qualche modo annullata e poi dovrà cercare una nuova famiglia, sempre che nel frattempo non sia diventata troppo grande. Perché i genitori adottivi preferiscono i bambini piccoli, nuovi, come un paio di scarpe appena acquistato al negozio.

 

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