Ignazio Marino esce dal CampidoglioCi scusiamo per il ritardo ma abbiamo avuto bisogno di tempo per leggere con la dovuta attenzione le 138 trionfali pagine che formano il “Piano Nazionale Scuola Digitale”, ramo digitale della “Buona Scuola” renziana.

Presentato qualche giorno fa in pompa magna dal ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini, tra annunci, strette di mano e il plauso di Confindustria Digitale, l’intervento è illustrato in un corposo manuale, in perfetto stile renziano, colorato, graficamente ineccepibile e pieno di tanti bei concetti, conditi da qualche parola in inglese che, anche se fuori posto, non guasta mai.

L’esordio, dobbiamo ammetterlo, promette bene: “Gli obiettivi non cambiano, sono quelli del sistema educativo: le competenze degli studenti, i loro apprendimenti, i loro risultati, e l’impatto che avranno nella società come individui, cittadini e professionisti”.

Andando avanti però, si ripropone il solito equivoco di fondo. Quale? Prima di dirlo, meglio spiegarsi bene.

In conferenza stampa si è sbandierato uno stanziamento di 1 miliardo di euro. A ben leggere il documento, i soldi vanno così divisi: 600 milioni in infrastrutture e 400 sulle nuove competenze, la formazione del personale, il monitoraggio e le misure di accompagnamento. Avendo deciso di non dedicare la nostra vita alle infime cose “materiali”, andiamo direttamente a vedere a cosa serviranno i succitati 400 milioni da investire in saperi immateriali, sicuri una somma del genere, anche se spalmata su 6 anni, è comunque interessante, visti i tempi che corrono.

Spulciano tra le 35 (!) azioni del Piano, cominciano a sorgerci dei dubbi.

Azione 14: creazione di un tavolo (senza budget assegnato) per la realizzazione di un “framework comune per le competenze digitali e l’’educazione ai media degli studenti”;

Azione 15: 1,5 milioni di euro per la creazione di “scenari innovativi per lo sviluppo di competenze digitali applicate” ovvero format innovativi, perché “è fondamentale che i docenti abbiano la possibilità di attingere da un portfolio di percorsi didattici applicati e facilmente utilizzabili in classe”;

Azione 16: altro tavolo (senza budget assegnato) per la creazione per una “Research Unit per le Competenze del 21mo secolo”;

Azione 17: portare il pensiero logico-computazionale a tutta la scuola primaria con risorse a valere sull’azione 15 (quella di prima?) più (non specificati) fondi Pon Fse “Per la Scuola” 2014-2020;

Azione 18: altro tavolo tecnico per aggiornare il curricolo di “Tecnologia alla scuola secondaria di primo grado” che utilizza risorse per l’azione “Format innovativi …” (già sentita) e “Formazione”.

Saltando la parte dell’alternanza scuola/lavoro che, al di là dell’investimento previsto e data la sua complessità, deleghiamo ad un prossimo post, ci rimane ancora qualcosa da segnalare.

Azione 23: altro tavolo tecnico (senza bugdet assegnato) per definire la promozione delle “Risorse Educative Aperte e linee guida su autoproduzione dei contenuti didattici digitali” perché occorre “fornire alle scuole una guida che distingua con chiarezza le varie tipologie di risorse digitali disponibili, i criteri e le possibili forme del loro uso …”;

Azione 24: 1,5 milioni di euro per la creazione di biblioteche Scolastiche come ambienti di alfabetizzazione all’uso delle risorse informative digitali.

Azione 25: 10 milioni di euro all’anno per la costituzione dei poli formativi con tavolo tecnico per i contenuti della formazione; linee guida e piattaforma web per il monitoraggio e la valutazione di impatto delle strategie territoriali e della formazione erogata;

Azione 26: 5,7 milioni per l’Assistenza Tecnica per le scuole del primo ciclo;

Azione 28: 8,5 milioni all’anno per un animatore digitale in ogni scuola.

Senza l’ausilio di una calcolatrice, è evidente che i conti non tornino.

A parte l’ossessione per i tavoli tecnici, nei 400 milioni sono inclusi fondi infrastrutturali, vedi le biblioteche digitali, insieme alla costosa supervisione, al monitoraggio dell’intera iniziativa, la già citata alternanza scuola-lavoro, dei non meglio chiariti comitati scientifici, e altri tavoli per la creazione dell’offerta formativa digitale. C’è anche un paragrafo sulla “formazione del personale scolastico” e si legge chiaramente che tutto il personale scolastico deve essere al passo con le innovazioni digitali che la riforma introduce, registro digitale, profilo digtale e così via. Non commentiamo, ci resterebbe troppo poco spazio.

Allora avevamo letto bene la sinergia tra Miur, Ministero dello Sviluppo Economico e Confindustria digitale tanto elogiata in conferenza stampa.

Ecco l’equivoco! L’80% del miliardo di euro che sarà investito nella scuola italiana nei prossimi 5-6 anni sarà usato per far girare l’economia (digitale e non solo). Vedendolo in chiave puramente keynesiana, è un intervento pubblico per incrementare la domanda globale, che a sua volta determina un aumento dei consumi, degli investimenti e dell’occupazione. Va benissimo ma, per favore, non chiamatela “riforma scolastica digitale”. Possibile che siamo ancora così ingenui da pensare che una riforma della scuola debba essere incentrata sulla sua utenza? Sugli alunni che saranno investiti solo indirettamente dal piano d’intervento pensato dal governo?

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