Quando racconta la sua storia di emigrazione stenta a essere creduto. Perché Simone Bertollini, 34enne romano nominato tra i migliori avvocati esperti di immigrazione in New Jersey, dall’Italia ha scelto di scappare quando gli è stato impedito di laurearsi in giurisprudenza. Il motivo? Avere finito gli esami con un anno di anticipo rispetto al canonico percorso di studi, ovvero in tre anni anziché quattro. Era il 2007 quando all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata gli dissero che non avrebbe potuto laurearsi in anticipo. “Presentai ricorso al Tar chiedendo un provvedimento di urgenza – racconta Simone – Ma venne respinto”. Pur di non perdere un anno aspettando i tempi della burocrazia degli atenei italiani, Simone decise di iscriversi nuovamente a legge ma negli States, alla University of Kansas. E da allora, non ha mai pensato di comprare un biglietto di ritorno per Roma. “Qui sto facendo una carriera impensabile per un avvocato italiano di 34 anni. Faccio la vita che non avrei mai potuto fare a casa. E non ci penso proprio a tornare indietro”.

Una scelta, quella di studiare giurisprudenza, non facile visto che Simone non proviene da una famiglia di avvocati. Ma non è alle raccomandazioni che il giovane romano dà la colpa. “In Italia sono estremamente importanti – precisa Simone – Certamente si può fare carriera anche senza. Ma si deve avere pazienza, perché il sistema al posto di incentivarti, ti mette i bastoni tra le ruote”. Ed è proprio da questo iter “estremamente lento e tortuoso” che Simone ha deciso di scappare non appena gli è stato impedito di laurearsi in anticipo. “In Italia c’è un percorso obbligatorio. L’unica soluzione per sfuggirgli è andarsene”. Qualche tentativo per evitare di emigrare, poi, Simone lo aveva fatto: sia prima di iscriversi nuovamente all’università del Kansas, cercando un avvocato che lo prendesse a fare il praticantato, sia dopo avere terminato l’università negli Stati Uniti, facendo domande di lavoro in qualche studio legale internazionale. “Non mi ha mai risposto nessuno”, ricorda Simone. Da qui la scelta definitiva, che lo vede dal 2008 vivere oltreoceano.

“Abito nel New Jersey, a pochi minuti da Manhattan, mentre lavoro a New York. Devo dire che me la passo molto bene”. Simone fa qualche calcolo immaginando come sarebbe la sua vita se fosse restato a Roma. “Credo che in Italia avrei guadagnato sette-otto volte meno rispetto a quello che guadagno qui”. E nutre ancora forti dubbi sul fatto che, nel Bel Paese, qualcuno gli avrebbe mai offerto un lavoro. “Mio padre continua a dirmi che in Italia probabilmente non potrei neppure permettermi di andare a vivere da solo”. E infatti un lavoro a casa non ha più alcuna intenzione di cercarlo: “Torno a Roma una volta l’anno, in vacanza. Ormai la mia casa è qui in America”. Pregi e difetti della vita negli States? “Direi che in Italia si mangia meglio, le relazioni sociali sono migliori e si lavora meno intensamente. O non si lavora per niente, in molto casi”. Quadro opposto per l’America, dove “non c’è limite a quanto in alto puoi arrivare con la carriera. E anche un avvocato che viene da un altro Paese può tentare la scalata, perché i suoi meriti vengono riconosciuti”. Così quando pensa a quante italiani scelgono di vivere all’estero, Simone non può che dirsi contento per loro. “L’Italia presto scenderà ai livelli dei paesi del terzo mondo. O anche peggio”.

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