I sei assolti a Firenze dall’accusa di stupro di gruppo avrebbero fatto a meno di parlare, così scrivono – ma hanno dovuto replicare. Ha parlato uno degli accusati, ora assolto, e lo ha fatto anche un altro di loro. Il primo ricorda i due mesi di carcere in isolamento a Sollicciano, oltre alle “offese, la gogna mediatica e ripercussioni di ogni tipo nella vita lavorativa e familiare”. Prevedibilmente la sua famiglia ha sofferto e i genitori si sono indebitati per pagare le spese legali. Il secondo, nella lettera che mi ha inviato, ricorda i 50 giorni in carcere dove i pasti erano serviti dal mostro di Foligno, i “compagni” di cella erano condannati per pedofilia, stupro, pornografia infantile, sfruttamento della prostituzione, rapina a mano armata e omicidio plurimo. Quello che fu definito “capobranco” e che, nonostante l’assoluzione, per i media, continua a rimanere tale, descrive giornate fatte di umiliazioni, mortificazioni, di una gestione di quell’istituzione, il carcere, con metodi da aguzzini, felici di negare un regalo fatto da un bambino o un libro in cui erano scritti degli appunti.
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E’ l’inferno, quello di cui lui parla, con un suicidio alla cella accanto, i giovani stranieri autolesionisti che per protesta si tagliano le braccia con le lamette. Lepori così racconta anche dell’approssimazione di chi fa diventare il mestiere di regista di film splatter un movente e di chi riesce a comprendere tra le prove un libro dal titolo “L’orgia satanica” utile alla costruzione del mostro. Non so perché ma mi viene in mente il libro di Luther Blisset sui “bambini di Satana”.

Dopo sette anni di battaglie legali, infine, ecco la sentenza che li assolve e allontana la paura di dover tornare in carcere. Il testo della sentenza è una lettura interessante perché spiega quanto ancora inadeguata sia la necessità delle istituzioni di appiattire la verità processuale senza cogliere alcuna umana complessità.

C’è chi ci vede tanto moralismo, e perciò scenderanno in piazza, il 28 luglio a Firenze, donne che, a prescindere dall’esito della sentenza, non accettano quella formulazione in modo acritico.

C’è la “ragazza della Fortezza” a cui la sentenza è sembrata ingiusta e la sua lettera suggerisce una riflessione su quel che è l’istituzionalizzazione del riconoscimento della violenza. Se si potesse parlare di stupro in modo sereno, senza cercare qualcuno da linciare, il mostro di turno di cui liberarci per salvare la verginità delle nostre figlie, fuori da ogni spinta emozionale, che di solito produce soltanto irrigidimenti identitari e approcci dogmatici, sarebbe per tutt* un grande passo avanti.

Le parole dei due uomini assolti ci pongono invece di fronte a una ulteriore contraddizione. Da quando le femministe sono diventate forcaiole e giustizialiste? Da quando le femministe, notoriamente libertarie, nemiche delle galere e del paternalismo delle istituzioni, hanno iniziato a legittimare le stesse prigioni in cui sono finite in tante quando si abortiva illegalmente?

Dire di una femminista che ama la galera è un controsenso. Quello che ci dicono i due assolti mi ricorda che nel 2007, circa, il governo a cavallo tra Prodi e Berlusconi, con accordo bipartisan, sull’onda emozionale degli stupri a Roma, tirò fuori un decreto stupri al quale ci opponemmo con una grossa manifestazione nazionale. Non siamo state noi a volere la carcerazione preventiva e l’isolamento per chi è accusato di questo reato. La spinta in questo senso arriva da una composizione politicamente trasversale fatta di donne che hanno imposto la fine del garantismo per spostare le lotte antiviolenza sempre più a destra, ovvero dove si trovano quelli della castrazione chimica, del registro pubblico per i sex offenders, delle gogne fasciste, per capirci.

La carcerazione preventiva è orribile. Ci sono le galere piene di gente in attesa di processo che poi escono per decorrenza dei termini e quando escono c’è perfino chi dice che dovevano restare lì. Senza una condanna. Legittimare la carcerazione preventiva non fa bene a nessuno. Non fa bene neanche ai movimenti che di tanta repressione fanno le spese. Perciò mi piacerebbe capire quando si potrà parlare di garantismo senza che a qualcun@ venga in mente di mettere sul tavolo di discussione le interiora di una donna squartata per spingere in direzione contraria. Almeno chi fa film splatter li fa senza un secondo fine. Quello che avviene spesso nei dibattiti tra femministe, in cui alcune parlano con toni esasperati, è invece una produzione di porno mostruosità per porno indignazione.

Infine vorrei condividere una riflessione su quello che succede sui social in questi giorni. E’ un processo al processo e ai/alle processanti. Un tribunale dell’inquisizione molto rumoroso che è costituito da una fascia antifemminista e forcaiola che vorrebbe le donne e le femministe in galera o comunque non in grado di esprimere la propria opinione. Poi ci sono quelle che chiedono la forca dal fronte opposto. Fosse per gli uni e per le altre staremmo lì a penzolare da tanti alberi messi tutti in fila.

Parlare del moralismo scaturito da questo “dibattito”, presto sfociato nella misoginia pura, dove persone intrise d’odio si sentono legittimate, finalmente, a dare della zoccola a un’estranea perché pensano che qualcuno abbia tolto loro la museruola, è doveroso. Così come lo è parlare di giustizialismo perché parte delle femministe, incluse quelle che si dicono libertarie, in realtà abdicano alle istituzioni e alle galere le proprie lotte. Tutto questo fa parte di una battaglia culturale e di un’indagine che può concludersi con l’acquisizione di nuove consapevolezze o anche no.

Tutto dipende da noi. Io, in questi giorni, ho imparato molte cose. E voi?

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