La verità su questioni politiche delicatissime, come la guerra e la violenza perpetrata ai danni di una nazione, assume quasi sempre contorni sfocati e per questo resta inaccessibile alla comune percezione.

Il principale errore di fondo che viene commesso quando ci si schiera da una parte o dall’altra è quello di ridurre la diatriba ad una valutazione squisitamente politica, senza quindi tenere in considerazione quali sono i limiti di chi detiene il potere di decidere le sorti di altri paesi.

Relegare la realtà ad una mera manifestazione di opinioni significa che la “ragione” sta dalla parte di tutti e quindi di nessuno, significa libero arbitrio, ridurre le relazioni sociali alla legge del più forte.

Il ruolo degli intellettuali non organici al potere è quello di delineare i fatti nel modo più oggettivo possibile, di fornire le coordinate affinché anche il più forte venga obbligato a rispettare le regole e i confini del proprio potere di ingerenza sulle vite altrui. Gli abusi di potere vanno respinti con la stessa forza con cui vengono imposti.

Ciò premesso, proviamo a capire cose è veramente accaduto in Libia e in Ucraina. Per fare questo abbiamo bisogno del contributo autorevole di Paolo Bargiacchi – professore Ordinario di Diritto Internazionale presso la Libera Università degli Studi di Enna “Kore” – il quale ha spiegato la ragione per cui la prassi dell’Unione Europea nella crisi libica del 2011 ed in quella ucraina di fine 2013/inizio 2014 non sarebbe conforme al diritto internazionale vigente. Sia in occasione della crisi libica che di quella ucraina, spiega Bargiacchi, l’Ue ha garantito sostegno politico, militare ed economico rispettivamente a favore degli insorti e degli oppositori. Si è dunque delineato nel caso libico una situazione di vera e propria “co-belligeranza”. Non vigendo, ancora almeno formalmente, quel libero arbitrio di cui si è fatto cenno, la partecipazione attiva al conflitto richiede una legittimazione normativa. A quali principi e leggi si appella l’Europa per giustificare l’ingerenza politica? Questo “attivismo europeo”, chiarisce il professore, si fonda sull’obiettivo, sancito in diverse norme del Trattato di Maastricht, di garantire in maniera assoluta e inderogabile la diffusione dei valori universali (diritti fondamentali della persona, libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto), in gergo “esportazione della democrazia”.

L’espansione della “eurodemocrazia” – ossia l’esigenza di “affermare e promuovere i suoi valori e interessi nel resto del mondo” (art. 3, par. 5, Tue) – si concretizza nel tentativo di imporre il proprio modello politico ed economico neoliberista. E, chiarisce Bargiacchi, senza entrare nel merito della bontà della strategia europea, le azioni politiche intraprese per raggiungere tale scopo non sono conformi al diritto internazionale vigente: “Nel caso ucraino, la difformità si riscontra in particolare rispetto al divieto di ingerenza negli affari interni di uno Stato mentre, nel caso libico, rispetto al divieto di usare la forza nelle relazioni internazionali sancito dalla Carta dell’Onu”, e in merito al caso libico “per quanto autocratico possa essere un governo, non esiste ad oggi una norma giuridica internazionale (o una dottrina politica maggioritaria nella comunità internazionale) che legittimi il regime change per instaurare la democrazia. ”

Riguardo alla vicenda ucraina si può addirittura parlare di “illecita interferenza” negli affari interni del Paese da parte dell’Ue nella misura in cui ha appoggiato gli oppositori politici dopo che il governo Yanukovich aveva deciso di sospendere la firma dell’accordo di associazione con l’Unione europea. In punto di diritto, infatti, quello ucraino non era qualificabile come governo autocratico e non si era macchiato, al 25 novembre 2013 (cioè quando l’Unione, con una dichiarazione ufficiale dei suoi vertici politici ed istituzionali, espresse sostegno all’opposizione filo-europea già scesa in piazza), di crimini internazionali nei confronti dei dimostranti.

Rimandando all’articolo del professore Paolo Bargiacchi per tutti gli approfondimenti del caso, questo squarcio di conoscenza ci dimostra che l’invadenza dell’Ue atta a favorire l’instaurazione di un nuovo regime politico ed economico trascende i limiti del proprio mandato, configurandosi come un abuso di potere, e per questo va criticato e ostacolato.

Ad andare in crisi non sono state solo due Stati, ma la stessa ragion d’essere della Comunità internazionale che, è il caso di ricordalo, può essere in grado di garantire la pace soltanto se non viene messo in discussione il suo valore fondante: il rispetto della sovranità e dell’indipendenza degli Stati.

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