Il ministro Poletti comunica che è necessario riconsiderare il tema del lavoro e le giovani generazioni. Fino a qui tutto bene. Anzi, viene quasi da dire finalmente. Finalmente si faranno delle considerazioni più approfondite su una disoccupazione giovanile che nel Gennaio 2015 è stata calcolata al 41,2%; si tenterà di mettere a fuoco le congiunture storiche che più che tarpare hanno quasi reciso le ali alle nuove leve. Ma chiaramente no, non si tratta di questo. L’argomento che l’ex presidente della Legacoop intende sviscerare sono le vacanze scolastiche: tre mesi di vacanza sono troppi.

“Non ci dobbiamo scandalizzare se per un mese durante l’estate i nostri giovani fanno un’esperienza formativa nel mondo del lavoro. Dobbiamo affrontare questa questione culturale ed educativa del rapporto dei ragazzi con il mondo del lavoro, e non spostarlo sempre più avanti”, ha dichiarato Poletti al convegno sui fondi europei e il futuro dei giovani promosso dalla Regione Toscana; “non troverei niente di strano se un ragazzo lavorasse tre o quattro ore al giorno per un periodo preciso durante l’estate, anziché stare solo in giro per le strade”. ‘Stare in giro per le strade’, mi sembra un’espressione esaustiva per raccontare com’è considerato il tempo libero nella società contemporanea. La parola ‘ozio’ ha proseguito la sua deriva semantica senza soluzione di continuità; l’otium nell’Antica Roma, infatti, indicava la riflessione, lo studio, la contemplazione e veniva considerato una parte fondamentale dell’esistenza. L’imprescindibilità di questo spazio privato dell’essere umano è incastonata nell’etimologia delle parole: ‘negozio’, l’occupazione, l’attività per antonomasia, deriva da nec-otium, non ozio, e nasce come complementare del momento ozioso. Non può esistere negozio senza ozio. Negli anni però l’ozio ha assunto, linguisticamente e non, una connotazione negativa; ha smesso di essere inteso come automiglioramento, come coltivazione del proprio sé più profondo ed è stato tradotto in pigrizia, ciondolamento, accidia. Tutto questo è andato di pari passo con la richiesta sempre più spasmodica di rendersi produttivi per la società: smettere d’intendere se stessi come materia prima da lavorare ma considerarsi dei manovali del prodotto, funzionali unicamente alla catena di montaggio. Poco importa che un sistema appoggiato su questo credo abbia già mostrato le sue falle e stia volgendo all’implosione; l’intervento del ministro volge in questa direzione.

Spremiamolo sempre di più questo capitale umano, che ancora non ne abbiamo abbastanza. Disidratiamolo fino a farne umanità secca da servire accanto al panettone il prossimo Natale. Non importa pensare, non importa giocare, non importa creare, non importa crescere: importa produrre. Per chi e per cosa non conta; che poi il sistema dell’iperproduttività collassi non conta; che l’essere umano non regga e sia sempre più infelice non conta; che l’alienazione fornisca l’humus ideale al germe della follia non conta.

Quello che conta è che in superficie si cambi versi.

Tra-verso, in-verso, av-verso, per-verso fa lo stesso.

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