Sessanta miliardi al mese di titoli di Stato dei 19 Paesi dell’Eurozona – Grecia compresa – e altri strumenti finanziari finiranno nelle casse della Banca centrale europea a partire dal prossimo marzo e almeno fino al settembre del 2016. Per un totale che potrà arrivare complessivamente a oltre 1.140 miliardi di euro, il 50% in più rispetto alle attese della maggior parte degli analisti alla vigilia. Quello che in gergo si chiama quantitative easing (allentamento quantitativo) ma è noto come il “bazooka” di Mario Draghi ora è pronto a sparare. Bazooka non a caso: il soprannome deriva dal fatto che è considerato l’arma più potente a disposizione del presidente della Bce per ridurre i tassi di interesse su mutui e prestiti, far risalire l’inflazione e in ultima rilanciare la crescita economica dell’Eurozona (guarda la scheda sugli effetti del quantitative easing su tassi, euro, debito e export). L’ex governatore di Bankitalia lo ha annunciato, come ampiamente atteso dai mercati, durante la conferenza stampa di giovedì 22 gennaio subito dopo la riunione del Consiglio direttivo. La prima a svolgersi nella nuova sede della banca centrale nella Grossmarkthalle, i vecchi mercati generali di Francoforte.

L’80% del rischio sarà a carico dei singoli Paesi – Due le sorprese. Una positiva: l’ammontare, pari appunto a sessanta miliardi al mese – in cui è però compreso anche il valore degli acquisti di titoli cartolarizzati (asset backed securities, in sigla Abs) e obbligazioni garantite (covered bonds) già avviati dall’Eurotower – per almeno 19 mesi, comunque prorogabili fino a quando l’inflazione sarà tornata vicina al livello-obiettivo pari al 2%. E una negativa: solo il 20% degli acquisti sarà soggetto a un regime di condivisione del rischio, mentre l’80% sarà caricato sulle banche centrali dei singoli Stati. “Abbiamo tenuto conto delle preoccupazioni” di alcuni Paesi, ha spiegato Draghi, che è arrivato nella sala stampa con quale minuto di ritardo e, scherzando, ha dato la colpa “agli ascensori che non funzionavano”. Ma la verità è che si tratta di una sostanziale vittoria della linea di Berlino, irremovibilmente contraria alla possibilità che i cittadini dei Paesi “virtuosi” – a partire appunto dai tedeschi – possano essere chiamati a subire le eventuali perdite legate a un ipotetico default di un altro Stato dell’Eurozona, che trasformerebbe i suoi titoli in carta straccia. Di qui il compromesso: la maggior parte del rischio rimarrà in capo a BankitaliaBanco de EspañaBanque de FranceBundesbank eccetera. In compenso – altro nodo che era emerso nelle scorse settimane – “non c’è alcuna eccezione per la Grecia”. E’ stata in pratica prevista una deroga che consente di comprare anche i titoli di Atene, che pure sono classificati come “spazzatura” dalle agenzie di rating. C’è però una condizione: solo in presenza di un programma di assistenza. Cioè di un accordo con la troika che prosegua anche dopo le elezioni del 25 gennaio.

Solo il 20% del rischio sarà condiviso. Una sostanziale vittoria della Germania e degli altri Paesi del Nord Europa

Il compromesso per accontentare la Merkel – Le posizioni dei governatori dei 19 Paesi che siedono nel board e dei sei membri del Comitato esecutivo saranno note solo tra quattro settimane, quando (anche questa è una prima assoluta) sarà pubblicato il resoconto ufficiale delle riunione. Ma è noto che il tedesco Jens Weidmann, l’olandese Klaas Knot e i colleghi di Olanda, Lettonia, Lituania e Slovacchia erano apertamente critici nei confronti dell’operazione. Così come Sabine Lautenschläger, anche lei tedesca, e il lussemburghese Yves Mersch, che siedono nel Comitato esecutivo ristretto che affianca il presidente. Probabilmente, la limitazione dei rischi caricati sul bilancio della Bce è servita proprio a convincerli ad esprimersi a favore. Draghi ha detto che il consiglio ha deciso “a larga maggioranza” di lanciare “adesso” il quantitative easing. Una maggioranza era così ampia che “non c’è stato bisogno del voto”. Mentre a monte c’è stata unanimità sul fatto che il qe sia “uno strumento che fa parte di quelli a disposizione della Bce” e c’è stato “consensus sulla decisioni in merito alla condivisione dei rischi”. Tuttavia, secondo molti analisti la suddivisione nella percentuale 80-20 rischia di minare dalle fondamenta la credibilità stessa dell’Eurotower e il successo dell’operazione. Anche il governatore di via Nazionale, Ignazio Visco, nelle scorse settimane si è opposto a quest’idea spiegando che “la frammentazione finanziaria dell’area euro potrebbe tornare ad ampliarsi”. Tradotto: si rischia di lasciare indietro i Paesi periferici dell’Eurozona.

La Bce comprerà anche i titoli di Atene, ma solo se l’accordo con la troika reggerà

Il 12,3% dei titoli di Stato comprati da Francoforte saranno Btp italiani – Quanto ai dettagli tecnici del piano, Draghi ha spiegato che la Bce non comprerà più del 25% di ogni singola emissione e non più del 33% del debito di un singolo Paese. L’effettivo ammontare sarà fissato sulla base delle quote che ogni banca centrale detiene nel capitale della Bce. Vale a dire che il 17,9% saranno Bund tedeschi, il 14,1% Oat francesi, il 12,3% Btp italiani, l’8,8% Bonos spagnoli e così via. Ad acquistarli, in concreto, saranno le banche centrali nazionali, mentre la Bce coordinerà gli acquisti “per salvaguardare l’unicità della politica economica e monetaria”.

La durata dei titoli da comprare varierà da 2 a 30 anni, “un intervallo molto ampio”. Rispondendo alle domande dei giornalisti, il presidente della Bce ha tuttavia sottolineato che “sarebbe un grande errore pensare che questo piano sia un incentivo all’espansione dei bilanci degli Stati (cioè a fare più debito, ndr): non è assolutamente un finanziamento del debito ed anzi è stato costruito perché si evitasse questo”. Peraltro oggetto dell’acquisto non saranno solo titoli di Stato. Lo “shopping” riguarderà anche titoli della Banca europea per gli investimenti e di altre istituzioni europee. In parallelo, Draghi ha spiegato che saranno ridotti ulteriormente i prezzi delle sei rimanenti aste di rifinanziamento a lungo termine riservate alle banche (Tltro): scenderanno allo 0,05% dallo 0,15% attuale. L’ultima tranche, quella di dicembre, ha visto gli istituti europei chiedere a Francoforte 129,8 miliardi, di cui 26 sono andati a quelli italiani. Che però finora li hanno usati più per riempirsi di titoli pubblici che per aumentare il credito all’economia.

Effetti immediati su euro d rendimenti dei titoli di Stato – Ora non resta che sperare che le cinghie di trasmissione che collegano questa misura straordinaria di politica monetaria con la vita reale delle persone, delle aziende e degli Stati funzioni come previsto. L’effetto annuncio, come sempre quando parla Draghi, si è già fatto sentire: l’euro, che aveva aperto a 1,1592 dollari, è sceso a 1,14 sul biglietto verde. E i tassi dei titoli di Stato di Italia, Francia, Spagna e Irlanda hanno toccato i minimi storici: il rendimento dei Btp a 10 anni è sceso all’1,579%, quello del Bonos spagnolo all’1,41%, quello dell’Oat francese allo 0,602% e quello del Bond irlandese all’1,145%. Piazza Affari, dopo una breve “fiammata” a +2,8% in corrispondenza dell’annuncio, si è assestata intorno a +1,3%, ma nel pomeriggio ha ripreso quota chiudendo la seduta, maglia rosa in Europa, a +2,44 per cento. Subito dietro la Borsa di Parigi, che ha guadagnato l’1,52%, e quella Francoforte, a +1,32%. Fuori dall’Eurozona, Londra ha invece segnato un guadagno dell’1,02 per cento.

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