E’, evidentemente, irresistibile la tentazione di parlamenti e governi di imbavagliare il web ed è tanto forte e trasversalmente condivisa da attraversare i lustri, le legislature e gli avvicendamenti a Palazzo Chigi continuando a covare come brace sotto la cenere, pronta a riaccendersi al primo soffio di vento.

E l’ultima folata di vento sui carboni ardenti dei censori del web ha soffiato ieri nell’aula del Senato della Repubblica nella quale, dopo un anno di sonnolento torpore, è approdato il testo del disegno di legge con il quale si sarebbe dovuto fare un passo in avanti verso la civiltà giuridica mentre si rischia di farne due indietro contro la storia e verso i regimi più autoritari sopravvissuti ai tempi e terrorizzati dalla libertà e indipendenza con le quali le informazioni vengono prodotte e diffuse online.

C’è, infatti, una pioggia di emendamenti al disegno di legge arrivato a Palazzo Madama dalla Camera dei Deputati che, se approvati, renderebbero orribile un disegno di legge già brutto perché incapace di cogliere nel segno e di centrare quella che avrebbe dovuto essere la sua missione ovvero spuntare le armi a chi, a colpi di minacce legali e lettere degli avvocati, sceglie di mettere a tacere un giornalista.

E’ chiaro a tutti, infatti, che eliminare il “feticcio” del carcere per il giornalista – assai poco usato nella sua lunga ed ingloriosa presenza nel nostro Ordinamento – sostituendolo con sanzioni pecuniarie tanto salate da risultare completamente sproporzionate rispetto alla miseria per la quale – specie nell’online – migliaia di giornalisti e non giornalisti, ogni giorno, fanno informazione non significa schierarsi dalla parte della libertà di informazione ma solo compiere un gesto carico di ipocrisia e rispondere ad un’esigenza di reale civiltà giuridica con una mossa intrisa di demagogia fino al midollo.

Pochi, anzi, pochissimi giornalisti sin qui hanno conosciuto il carcere per diffamazione mentre tanti, anzi tantissimi, domani, rischiano di vedersi condannati a pagare cifre astronomiche per aver osato raccontare un fatto o, addirittura, manifestare un’opinione.

Ed è tutto da vedere e da dimostrare se lo spettro di una condanna reale al pagamento di una somma superiore a quella che si è guadagnata in anni di lavoro, sia un deterrente meno efficace, per chi vuole fare informazione libera e coraggiosa, di quanto, sin qui, lo sia stato lo spettro – davvero evanescente e virtuale – al carcere.

Ma torniamo al web.

E val la pena farlo con una postilla allo scopo di disinnescare l’obiezione che con una dose di demagogia pari almeno a quella che sta ispirando la riforma della disciplina sulla diffamazione, si continua a sentir ripetere ormai da anni: nessuno, sensatamente, immagina o auspica che il web si trasformi in un far-west attraverso il quale si possa offendere liberamente chicchessia senza accollarsi le proprie responsabilità e restando impuniti e nessuno rivendica sul web una dose di libertà maggiore rispetto a quella che è giusto rivendicare per ogni altra forma di comunicazione tra persone e cittadini.

E’, però, inaccettabile leggere tra gli emendamenti ad un disegno di legge in discussione nel Senato della Repubblica italiano, nel 2014 che c’è, ancora, chi propone che “La disposizione di cui al primo comma [ovvero quella in materia di responsabilità del Direttore di un giornale per il contenuto del giornale medesimo, ndr] si applica anche alla persona fisica o giuridica che abbia registrato, presso il Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa, il sito tramite il quale il reato viene commesso, ovvero, in caso di reato commesso tramite un blog, nei confronti di colui che si collega alla rete internet per gestire lo stesso blog, da individuare attraverso l’indirizzo IP del dispositivo utilizzato per la connessione.”

E, ancora, che “Tali soggetti [ovvero il titolare del nome a dominio o il blogger, ndr] rispondono del reato, di cui al primo comma, anche quando non cancellino, entro 24 ore dalla pubblicazione, scritti inseriti autonomamente dagli utenti, tali da configurare la commissione di reati”. Eppure questo è quanto, ad esempio, propongono i senatori Salvatore Torrisi e Nico D’Ascola in un loro emendamento.

Altro che il bavaglio contro i blogger sventolato nel nostro Parlamento ormai due lustri fa da chi, per la prima volta, proponeva di estendere anche ai blogger l’obbligo di rettifica entro 48 ore, qui si propone addirittura di rendere responsabile il blogger – o peggio ancora semplicemente chi abbia registrato il nome a dominio utilizzato dal blogger – se non rimuove un commento postato da uno dei suoi utenti – magari con tanto di nome, cognome e indirizzo email – entro 24 ore.

Siamo ad un delirio censoreo che non ha niente da invidiare per intensità ed inciviltà giuridica a quello dei regimi più autoritari.

Così come, sembra rispondere alla stessa logica, la proposta di chi vorrebbe che l’interessato – ovvero un soggetto che assume di essere stato da altri diffamato ma che non ha visto ancora accertata tale propria “sensazione” – possa addirittura chiedere “ai siti internet e ai motori di ricerca l’eliminazione dei contenuti diffamatori o dei dati personali trattati in violazione delle disposizioni di cui alla presente legge”. E’ questo il contenuto di uno degli emendamenti presentati dal senatore Giacomo Caliendo (Fi-PDL).

E a navigare nella montagna di emendamenti con i quali i senatori vorrebbero intervenire sul testo arrivato dalla Camera, purtroppo, ce ne sono, purtroppo, tanti altri che meriterebbero almeno una nomination in una ipotetica notte del “bavaglio d’oro” che, forse, prima o poi, si sarà costretti ad organizzare.

Che questi e gli altri emendamenti simili siano destinati a diventare o meno legge per davvero, conta relativamente poco, il punto è che in un Paese che ambisce ad essere considerato civile – probabilmente senza averne ancora tutti i titoli – è triste constatare che gli aneliti e le convinzioni di chi ci rappresenta siano, ancora, di tal fatta.

E’ davvero urgente dare alla Rete un suo bill of rights, una sua dichiarazione di diritti fondamentali – come si sta cercando di fare in queste ore alla Camera dei Deputati – capace di arginare anche chi, da dentro al Palazzo, continua a guardare a Internet più come ad una minaccia che come ad una grande opportunità.

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