Vi sembra normale che i magistrati vadano in ferie il primo di agosto e tornino a lavorare il 15 settembre?” Questa la domanda che vi pone Renzi durante Porta a Porta. Domanda efficace e retorica… Però non so a voi, ma a me non sembra tanto normale che il Presidente del Consiglio non sappia (o faccia finta di non sapere) che ovviamente Tribunali e Procure sono aperti tutto l’anno
E’ difficile discutere o dialogare se l’obiettivo non è la soluzione dei problemi ma il risalto mediatico e l’approvazione emotiva della massa. Eppure proprio il partito del Capo del Governo dovrebbe saperlo che, ad esempio, la Procura di Bologna lavora anche in questi giorni
 
La sospensione estiva di 45 giorni, la cui riduzione viene fatta passare per la madre di tutti i problemi della giustizia (magari!), è funzionale anche a consentire agli avvocati l’esercizio della difesa: non interrompe affatto né i procedimenti urgenti né il lavoro dei magistrati, che approfittano di questo periodo senza udienze ordinarie (ma con turni continui anche di reperibilità notturna e nei weekend per i pubblici ministeri, ad esempio) per depositare sentenze e in generale per mettersi in pari con un carico di lavoro che non ha praticamente eguali in Europa (io ho quasi 800 procedimenti penali solo contro indagati noti – di cui oltre 50 per abusi sui minori e oltre 120 tra stalking e maltrattamenti – ma c’è chi è messo molto peggio).
Lo dice da anni la commissione indipendente CEPEJ, che dimostra anche come i magistrati italiani siano costantemente tra i più produttivi (e non invece tra i più pagati). Essere produttivi non vuole dire affatto essere bravi, visto che non produciamo scatole di cartone! E infatti si può e si deve migliorare, ma molti di quelli che lavorano nella giustizia sanno che il punto sarebbe anzitutto poter lavorare meglio e puntare sulla qualità, piuttosto che spremere ancora di più le già scarsissime risorse per chiudere tutti i processi rapidamente, come se il come si decide una causa o un processo non fosse rilevante, ma contasse solo il fatto di metterci un punto finale.
Si sono discusse in questi mesi tante proposte, alcune anche interessanti e concrete, ma le ultime ore sembrano riportare la discussione sulla giustizia sui binari della propaganda, per scaricare su questo o quel capro espiatorio tutte le colpe di un sistema fallimentare da decenni. Ecco che “daje alla toga” è molto comodo ed efficace, perché si cavalcano luoghi comuni e frustrazioni contro le caste (o presunte tali): fannulloni, corporativi e strapagati. Musica per le orecchie del cittadino scontento e sfibrato da una crisi di cui non si vede la fine.
 
Personalmente mi rendo conto di svolgere un lavoro bellissimo e privilegiato, non perché frutto di una discriminazione rispetto agli altri cittadini ma in quanto unisce una grande indipendenza nelle decisioni con una forte fiducia di mantenimento del posto (non me lo nascondo in questa epoca di lavori precari e di disoccupazione altissima, anche se il disciplinare oggi funziona con più severità che per qualsiasi altro ordine).
Però questo lavoro l’ho ottenuto tramite i sacrifici dello studio ed un concorso prevalentemente scritto e molto selettivo (nel mio anno fecero domanda oltre 20.000 candidati per 360 posti e vennero alla fine nominati 300 nuovi magistrati idonei). Ciò non mi deve consentire di dimenticare che a questa legittimazione “tecnica” (decisa dalla Costituzione) devo aggiungere impegno quotidiano, passione, formazione e responsabilità.
 
La mia categoria potrebbe e dovrebbe in non pochi casi offrire un servizio migliore, anche solo sotto il profilo organizzativo, ma se non usciamo dalle paludi degli slogan non daremo una risposta alla domanda di giustizia dei cittadini.
Mi preoccupa l’effettività dei diritti e non certo la decurtazione delle ferie, perché tanto da dieci anni perdo sistematicamente quasi un terzo delle ferie perché il carico di lavoro non mi consente di goderle interamente (e come me fanno la maggioranza dei magistrati italiani). Il Presidente del Consiglio dimostra ancora una volta di voler incarnare la maschera del leader popolare e coraggioso che sfida le lobby, come quando mesi fa insistette a dire che l’ANM era contraria al taglio degli stipendi sotto i 240.000 euro, mentre nelle stesse ore cercavamo disperatamente di far capire che un taglio del genere non ci vedeva affatto contrari anche perché quella cifra la guadagna soltanto il Primo Presidente di Cassazione. 
Ma questo non è un paese per il merito. Né delle persone, né degli argomenti. Conta chi si conosce e chi si riesce a convincere, non cosa si sa fare e se si hanno delle ragioni da spendere. Se non cambiamo questo, non ci sarà verso di cambiare.
 
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