– Fumi in casa?

– Già. Tu no?

– Si.

– Vuoi?

– Sì… Mi sento come una mamma cattiva del 1987

Chissà cosa passa davvero nella testa di un genio quando guarda un film. Tempo fa è stata pubblicata la lista dei migliori 10 dello scorso anno secondo Quentin Tarantino. Tra questi convivono blockbuster fracassoni come Kick Ass 2, horror come The Conjuring, vincitori di premi seppure agli antipodi come Gravity e Jasmine, flop come The Lone Ranger. Ma anche sequel inattesi come Before Midnight. E poi produzioni indipendenti come un certo Frances Ha, quarto lungometraggio di Noah Baumbach.

Frances HaFrances vive simbioticamente con Sophie in un’appartamentino in affitto a New York. Le sue relazioni quanto il suo quasi-lavoro di ballerina sono inconcludenti e le porte che potrebbero aprirsi per lei, e solo per lei, sfumano come treni in corsa. La protagonista è una Greta Gerwig meravigliosa e scanzonata. La sua Frances si aggira tra Brooklyn, Chinatown, Sacramento, Parigi e cene imbarazzanti con coetanei realizzati nella vita come fosse un cerbiatto disorientato. I suoi passi di danza ricordano vagamente le curiose coreografie di Praise You, il videoclip di Fatboy Slim firmato da Spike Jonze. Vicina e lontana, l’amica di sempre ha il viso occhialuto di Mickey Sumner, mentre il suo tentatore alla nicotina casalinga è il futuro divo di Star Wars – Episodio VII, Adam Driver. Sbarcato alla Mostra del Cinema di Venezia per presentare Hungry Hearts di Saverio Costanzo e ripartito con una Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile.

Baumbach sviluppa l’idea originale dell’attrice protagonista, sua compagna nella vita, in una storia metropolitana sospesa tra atmosfere alla Woody Allen d’annata e ambizioni da palcoscenico alla Flashdance. La sceneggiatura è densa d’ironie della sorte. Ha una struttura a scaletta, puntellata di dialoghi scarni in apparenza, ma precisi ingranaggi di una circolarità che insegue i suoi cuori nel traffico alla ricerca di un giusto karma per ognuno di essi.

La fotografia, di un rigoroso ma accogliente bianco e nero, ritrae la metropoli nel suo minimalismo accompagnandosi con scelte musicali che vanno dalle arie di Bach ai suoni glam di David Bowie. A molti ha fatto pensare a un Manhattan al femminile, Frances Ha. Ma i lirismi autocelebrativi di Allen, con tutta l’epica amorosa e il trionfo della metropoli qui si sciolgono, nella forma e nella sostanza, in un’anomia intima da terzo millennio alla conquista di un’essenza. Dell’essenza delle cose.

Grattacieli, avenue affollate e fuochi d’artificio non sono guest di lusso, qui. Scompaiono quasi, ridotti a sfondi sfocati in campo lungo. Mentre gli interni ritratti dal regista, nella loro nudità, ne accolgono quella mascherata da convenzioni amicali insieme agli umani attriti e squilibri dei personaggi che li popolano.

Sarà distribuito da Whale Pictures, anzi centellinato, nelle sale italiane dall’11 settembre, questo piccolo grande film sincero e arguto. Più adatto a circuiti d’essai forse, ma a parte la top ten di Tarantino, è un lavoro con una protagonista e un autore che meritano di essere seguiti perché finora ce ne hanno fatte vedere delle belle. E più di qualcosa lascia intuire che continueranno a farlo.

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