La pausa mortifera dei palinsesti televisivi italiani sta per concludersi, settembre è iniziato e si inizia a pregustare il menu che la tv sottoporrà agli appetiti dei telespettatori. Il primo terreno di sfida tra le reti generaliste, quest’anno più che mai, sembra essere quello dei talk show di approfondimento politico. In un settore da troppo tempo immobile, impantanato in logiche politico-editoriali di difficile comprensione per chi è avulso da certi ambienti, quest’anno si respira aria di una (seppur minima) rivoluzione. Dopo l’addio di Giovanni Floris a Rai3 e l’approdo alla corte di Urbano Cairo, sarà interessante scoprire cosa diventerà Ballarò, affidato alle televisivamente inesperte mani di Massimo Giannini, vicedirettore di Repubblica, mentre l’ex dominus dei talk della Terza Rete dovrà ritagliarsi un proprio spazio in una realtà satura come quella di La7.

Per capire cosa possiamo realisticamente attenderci dalla nuova stagione dei talk politici, ci siamo affidati alle analisi di Giorgio Simonelli, docente di Storia della radio e della televisione e Giornalismo radiofonico e televisivo all’Università Cattolica di Milano, blogger del Fatto Quotidiano e volto storico della trasmissione TvTalk, che ogni settimana su RaiTre scandaglia gli abissi della televisione italiana. Il quadro dipinto da Simonelli non è certo dei migliori: “Non mi aspetto grandi cambiamenti. L’unico aspetto interessante è il passaggio di Floris a La7 e l’arrivo di Giannini a Ballarò: è da lì che mi aspetto qualcosa di nuovo”. Eppure Giannini non ha una simpatia universalmente riconosciuta e raccogliere l’eredità di Floris non sarà facile. “Ho una vecchia teoria: – ci dice Simonelli – affidare la tv a chi non l’ha mai fatta è positivo. È un mondo talmente fisso che l’arrivo di qualcuno con logiche diverse non può che essere produttivo”. Anche la scommessa di Floris, andato a nuotare in uno stagno già zeppo di pesci grossi dell’informazione, può rappresentare uno stimolo positivo: “Sarà curioso capire come si inserirà in quel contesto. A RaiTre era la punta, non aveva problemi. A La7 dovrà trovare il modo per non essere uguale a Formigli, a Paragone, alla Gruber o a Santoro. Servirà un passo diverso rispetto al passato”.

Bisognerà capire se il nuovo programma di Floris comporterà un riposizionamento (in termini di struttura e di palinsesto) delle altre realtà della rete o se dovrà invece adattarsi agli altri programmi ormai “storici” di La7, a partire da quello del team di Michele Santoro. Il nuovo programma del nuovo arrivato si chiamerà DiMartedì. Il primo promo diffuso su La7 è sulle note di It’s not unusual di Tom Jones: molta gente che esce di casa e infine la voce dello stesso Floris (“L’Italia a casa vostra. Alè!”). Di sicuro, sarà ancora Maurizio Crozza (peraltro già di casa a La7) ad aprire ogni puntata con la tradizionale copertina. Solo pochi secondi di promo anche per Ballarò, con una carrellata di primi piani, conclusa dal volto telegenico dello stesso Massimo Giannini. Fin qui le novità.

Il fermento di La7 è un caso unico nel panorama informativo. Il resto dei canali conferma il poco che ha, in alcuni casi nonostante gli scarsi risultati ottenuti. Su RaiDue torna Virus, condotto da Nicola Porro: una media di share del 4,3% (un milione di telespettatori) per un programma che non è mai riuscito a trovare una propria identità. “Sono le logiche illogiche della televisione italiana”, sottolinea non senza un sorriso divertito Simonelli. “Se un bel programma va male all’Auditel, lo si boccia subito e si dice che non puoi sperimentare troppo senza ascolti. Se invece non sperimenti nulla e vai male, ti confermano anche per la stagione successiva: roba da matti. Ma è il problema di RaiDue, che ormai può soltanto sopravvivere”. E poi, suggeriamo, c’è la casella “talk di destra” da riempire… “A destra fanno tante cose (anche se male), ma non sanno fare i talk show: dovrebbero rassegnarsi”. Lo stesso tipo di rassegnazione che dovrebbe avere lo spettatore di RaiUno, che dovrà affidarsi “all’usato sicuro” di Porta a Porta di Bruno Vespa? “Almeno nella prima parte della stagione Vespa perde una serata a settimana. Forse è un piccolo segnale di erosione del suo dominio. Ma forse l’unica speranza – confida Simonelli tra il serio e il faceto – è che Renzi obblighi anche i conduttori televisivi ad andare in pensione a 65 anni…”.

Non pervenuta, ancora una volta, Canale5. Che la rete ammiraglia di casa Mediaset sia ormai orientata verso un target diverso dagli spettatori di talk show politici è cosa evidente, ma forse a Cologno sono stati costretti a fare di necessità virtù, con un redivivo Matrix condotto da Luca Telese, che nella scorsa stagione si è fermato lontano dal 10% di share medio. Per Giorgio Simonelli, “perso Mentana, Canale5 ha perso ogni smalto informativo. In quell’area che possiamo definire moderata, Mentana è l’unico che sa come si fa informazione televisiva. E la parabola discendente di Canale5 risale alla sua uscita: dopo hanno solo tentato di rimpiazzarlo in maniera troppo raffazzonata, prima con Alessio Vinci e adesso con Luca Telese”.

Chi si aspettava grosse novità nel settore dell’informazione politica dalla nuova stagione televisiva alle porte, resterà quindi deluso. C’è solo da capire cosa riuscirà a fare Floris fuori dall’ormai comodo nido di Ballarò e come Giannini proverà a non farlo rimpiangere. Di nuovo tutti ai nastri di partenza, dunque, per un genere televisivo onnipresente (si comincia all’alba e si finisce a notte fonda) che però nella scorsa stagione ha mostrato la corda, con cali generalizzati per tutti i competitors e addirittura una lunga polemica sulla paventata fine del talk show politico in Italia.

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