La prossima rivoluzione la faremo con una panchina. Di quelle che si possono spostare, mobile. Sarà una rivoluzione spontanea, capillare, lentissima ed evidentemente pacifica. Ci armeremo di parole e il nostro manifesto politico sarà quello di far chiacchiere al chiaro di luna, nelle sere d’estate.

All’inizio sarà dura. Il lampione mezzo bruciato, le zanzare fastidiose, le auto parcheggiate in doppia fila e i casermoni tutti uguali ad ostruirci le nuvole, a inaridirci il cuore. E poi, per dirla tutta, la paura dell’incontro casuale, i muscoli della curiosità da riallenare, disabituati come siamo al dialogo e al confronto. Spegneremo le televisioni e avremo l’ardire di uscire sul pianerottolo, bussare alla porta dei nostri vicini con i quali avremo scambiato sì e no un qualche saluto in tanti anni di saliscendi.

E saremo in strada. Nel borgo o quartiere che sia. Quella stessa strada popolata di mostri spaventosi agitati da media e politica. Prostitute e spacciatori. Ladri e pedofili. Neri, zingari e malavitosi. Giovinastri ubriachi e perditempo. Barboni e malintenzionati. Lì, con le nostre panchine indifese, audaci e temerari. A prenderci il tempo di perderne un po’.

All’inizio sarà dura non cadere in tentazione, e gli argomenti di conversazione stimoleranno il chiacchiericcio sterile dei teatrini da talk show. Qualcuno alzerà la voce, strizzando l’occhiolino a quella parte di noi imbevuta di pregiudizi e luoghi comuni. Poi, sera dopo sera, il veleno delle nostre tecnologiche e riscaldate solitudini lascerà spazio a un’abbondanza di facce e di sorrisi. Confidenze, anche. E pure sfoghi o richieste di aiuto. Niente bottoni da schiacciare, like o dislike, ma sguardi da incrociare. Niente petizioni a cui prestare un cognome innocuo, ma persone in carne ed ossa, a sperimentare quel gioco complicato e inedito chiamato comunità.

E dopo i girotondi, i popoli viola e indignate manifestazioni di vario genere e natura, saremo noi a far notizia. Un popolo senza leader o bandiere alla ricerca spensierata di un briciolo di normalità. Mescolati, come sono le nostre città che oggi chiudono all’abbassarsi di una serranda di bottega, o di centro commerciale. Bianchi, neri. Vecchi e giovani. Per una volta insieme, senza un biglietto da pagare. Occuperemo atri e cortili, e metteremo in scena uno spettacolo che avrà per quinte tetti e marciapiedi.

Ci ignoreranno, per cominciare. Verremo derisi. Presi a epiteti quali nostalgici o retrogradi. Poi, quando vedranno panchine spuntare un po’ ovunque, passeranno alle maniere forti. Artiglieria pesante. E’ gente strana, pericolosa. Son contro al progresso, bloccheranno la crescita. Da disperdere. Ma sarà tardi, per fermarci. E non ci fermeremo.

Sarà bellissimo, perché condiviso. Un popolo senza leader o bandiere alla ricerca spensierata di un briciolo di umanità.

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