È trascorso quasi un mese dalla pubblicazione dell’ultimo rapporto annuale dell’Istat. I dati sulla situazione economica delle famiglie italiane erano e restano gravissimi. Ma i partiti e i movimenti sembrano disinteressarsene. E le riforme istituzionali hanno monopolizzato l’agenda politica in uno dei momenti di maggiore difficoltà sociale della storia repubblicana. L’8 per cento delle famiglie italiane vive in una condizione di povertà assoluta. Con aumenti rispetto al 2011 in tutte le zone della penisola. Nel Sud Italia la percentuale ha raggiunto quota 11,3.

Ma cerchiamo di andare oltre le etichette statistiche, perché altrimenti non si riesce a cogliere la gravità del problema. Povertà assoluta significa non riuscire a mettere insieme il paniere di beni e servizi di base (generi alimentari, casa, beni durevoli di prima necessità, etc.) necessari per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile. Il rischio di povertà in Italia è tra i più alti di Europa (19,4 per cento). Peggio di noi solo Bulgaria, Croazia, Spagna, Grecia e Romania. Stesso discorso per il rischio di persistenza in povertà, che è del 13,1 per cento, 3,4 punti percentuali in più rispetto alla media europea. Il rischio di persistenza in povertà è la percentuale di individui a rischio di povertà nell’anno di rilevazione e in almeno due dei tre anni precedenti. A tutto ciò l’Istat aggiunge un ulteriore elemento di analisi che è altrettanto allarmante.

Fino al 2009 non c’è stato un significativo aumento degli indicatori della povertà perché le famiglie hanno messo mano al patrimonio e ai risparmi per sostenere il proprio potere d’acquisto. La situazione è peggiorata significativamente nel 2011, quando i risparmi hanno iniziato a scarseggiare. Questo significa che la condizione economica degli italiani è addirittura più critica di quella che emerge dai dati raccolti finora sui consumi. Perché molte famiglie sono riuscite a tenersi al di sopra della soglia di povertà erodendo piccole somme di denaro accumulate in passato (fino al 2007 la propensione al risparmio degli italiani era del 15,5 per cento). E’ chiaro che in questa situazione economica disastrosa i diritti più elementari sono messi pericolosamente a rischio.

Se come ci ha detto l’Istat un mese fa più di una famiglia su dieci nel Mezzogiorno versa in povertà assoluta ciò significa che almeno un ragazzo su dieci incontra serie difficoltà nel completare il percorso di studi obbligatorio. Per non parlare poi di quello universitario, che gli sarà molto probabilmente precluso in partenza. Altrettanto potremmo dire del diritto alla salute. Un rapporto del Censis del 2012 aveva lanciato un allarme. Nove milioni di italiani dichiaravano di non essere riusciti ad accedere a prestazioni sanitarie per “ragioni economiche”. Le liste di attesa del pubblico sono troppo lunghe. Chi può si rivolge alle strutture private, chi non può rinuncia alla prestazione sanitaria. Così facendo si va incontro a una stratificazione sociale dalle dimensioni intollerabili.

L’Istat ha presentato il rapporto annuale 2014 alla Camera dei Deputati, nella Sala della Regina, lo scorso 28 Maggio. In presenza di uno scenario sociale così critico sarebbe stato forse ragionevole aspettarsi tre cose. La prima è che ogni forza politica elaborasse in termini chiari un piano di emergenza per fornire assistenza economica immediata all’8 per cento delle famiglie che non riesce ad acquistare i beni e i servizi di base. La seconda è che ogni forza politica proponesse una strategia economica di medio o lungo periodo per estirpare il fenomeno della povertà assoluta. La terza è che ci si confrontasse, si discutesse, e alla fine si scegliesse come agire. Invece nelle ultime settimane il tema che ha scaldato il dibattito politico e parlamentare è stato la procedura da adottare per scegliere i futuri senatori.

E negli ultimi giorni se i futuri senatori debbano o non debbano ricevere l’immunità. Le riforme istituzionali hanno preso il sopravvento nell’agenda politica del Governo, in un momento in cui il welfare italiano sta mostrando tutte le sue fragilità. Si può ipotizzare che il monocameralismo sia auspicabile. Si può ipotizzare che la riduzione a una sola camera sveltisca l’azione legislativa. E si può anche ipotizzare che ciò sia destinato ad avere degli effetti positivi sull’economia perché renderebbe più efficace l’azione politica della maggioranza di governo. Ma si tratta pur sempre di scenari di medio e lungo periodo. L’emergenza sociale della crescente povertà assoluta, se davvero la si vuole affrontare, richiede misure economiche immediate, che non sono riforme, ma assistenza umanitaria.

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