Asif guarda il mare sognando la terra dall’altra parte. A volte spera che quel braccio di acqua largo neppure 35 chilometri scompaia durante la notte. È un ragazzo di 33 anni, fuggito nel 2000 dall’Afghanistan. Dopo essere passato dalla Turchia alla Svizzera è arrivato in Francia, a Calais. È in questa cittadina sulla Manica, ultima frontiera d’Europa, che Asif ha tentato la sorte. “Per venti giorni – ha raccontato – ho raccolto oggetti che venivano buttati”. Sei assi di legno, una stampella a prua per reggere la vela e un materasso su cui sedersi. E poi, un giorno di maggio, via verso la Gran Bretagna, di buon mattino, per sfuggire agli occhi della guardia costiera. Che ha fermato la sua folle traversata poche ore dopo, probabilmente salvandogli la vita.

Per Asif la terra promessa si chiama Gran Bretagna. Come lui a Calais ci sono 200 afgani e complessivamente più di 800 migranti, quasi tutti clandestini. Vengono dall’Africa centrale o dall’Eritrea, dalla Siria o dall’Iraq. Sono sempre più numerosi e da differenti rotte lungo il Mediterraneo. Secondo gli ultimi dati dell’agenzia Ue Frontex il numero di ingressi illegali nei primi 4 mesi del 2014 è di oltre 40.000, di cui di 25.6500 attraverso la Libia. Un aumento impressionante dai rispettivi 12.450 e 1.125 del 2013, perfino maggiore che nel 2011 durante la Primavera araba. Raramente però questi migranti si fermano nei Paesi d’entrata, come l’Italia. “Anche se vediamo tutti i giorni immagini tragiche da Lampedusa – ha sottolineato la Merkel – le destinazioni finali che accolgono più rifugiati sono altre”, Svezia e Germania in testa. Per questo, secondo la cancelliera, “bisogna trovare soluzioni nei paesi d’origine”.   

Fino a pochi giorni fa, prima che la polizia francese sgomberasse il campo di Calais senza fare troppi complimenti, erano assiepati principalmente in un campo di fortuna in prossimità di una ferrovia abbandonata. Le tende sono a volte niente più che di grandi buste di plastica piantate alla buona. Niente elettricità o servizi igienici. Niente cibo se non quello distribuito una volta al giorno da volontari. Questo era il campo dei disperati e degli invisibili. E anche se oggi non c’è più, è difficile che scompaia: loro, dicono, non solo non sanno dove altro andare. E oltretutto ma non hanno davvero niente da perdere.   

A ogni ora del giorno, e ancor di più durante la notte, decine di persone tentano di salire in tutti i modi a bordo dei camion merci diretti verso la Gran Bretagna, dove in teoria nessun documento in loro possesso li autorizza ad andare. Qualcuno si infila perfino nel semiasse delle ruote posteriori, come è accaduto a un ragazzo sudanese morto proprio per questa ragione solo la scorsa settimana. Le autorità locali parlano di una situazione al collasso a Calais, mentre Londra e Parigi si accusano a vicenda: per i primi la polizia non fa nulla per fermare i migranti, per i secondi la Gran Bretagna dovrebbe mettere a disposizione risorse economiche e cooperare anziché criticare. Sarà un caso che lo smantellamento del campo sia arrivato solo due giorni dopo il trionfo del Front National?   

Fino al 2003, prima che Sarkozy lo chiudesse, esisteva un campo profughi della Croce Rossa. Allora i rifugiati provavano a salire sui treni che passavano per l’Eurotunnel. Nel 2009 la drammatica realtà di Calais è diventata un film. Welcome racconta la storia di Bilal, un giovane curdo iracheno che prende lezioni di nuoto per provare ad attraversar la Manica e ritrovare a Londra la sua ragazza. Nel film le cose non vanno bene per Bilal. Asif, che guarda il mare sperando che scompaia è convinto: “Vale sempre la pena provare a raggiungere i tuoi sogni”.

Il Fatto Quotidiano, 31 maggio 2014

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