Il presidente uruguayano Mujica, che è un leader universalmente stimato e rispettato, nonché un politico di rara onestà ed intelligenza, ha affermato che Obama è un presidente progressista legato mani e piedi e che la sua (di Obama) presidenza è stata, alla fine, un aborto. Nell’interessante intervista rilasciata a El Pais semanal e tradotta e pubblicata da Internazionale della scorsa settimana il presidente dell’Uruguay afferma poi che “oggi chi governa non comanda niente”. Governano invece i grandi poteri finanziari, “non è più il cane a muovere la coda ma la coda a muovere il cane”.

Difficile dargli torto. Ogni presidente degli Stati Uniti è assoggettato a un’agenda definita e dettata dai poteri e think thank che hanno a cuore prevalentemente se non esclusivamente il mantenimento della posizione di supremazia che tale Stato esercita oramai, sia pure tra alterne vicende, dalla fine della Seconda guerra mondiale. Una posizione di supremazia oggi posta in pericolo, quantomeno sul piano dell’economia, dalla Cina e che comunque mal si concilia con un’impostazione autenticamente multilaterale della cooperazione internazionale. Supremazia peraltro legata a filo doppio a quella dei poteri finanziari, veri decisori di ultima istanza su questo pianeta. Come osservato tempo fa da Samir Amin, la mano invisibile di Adam Smith si è trasformata in un pugno molto visibile, sferrato qua e là per normalizzare il mondo e conservare il potere di che ce l’ha.

Leggere, in questa ottica, taluni recenti sviluppi non costituisce certo una manifestazione di complottismo, ma semmai di sano realismo del tutto in linea con una lettura necessariamente scientifica e non emotiva o di parte della situazione internazionale. Non si tratta di stabilire “chi è buono e chi è cattivo” ma di capire come le potenze reali si muovono e come determinano sviluppi a volte inquietanti che possono mettere a repentaglio la vita di milioni di persone.

Vediamo ad esempio le guarimbas venezolane, che sembrano essersi spente nel nulla, mentre si ripetono attentati omicidi nei confronti di esponenti del chavismo. Il ministro degli interni ha denunciato l’esistenza di un piano ordito dall’esterno. Restano in carcere 197 persone, tra cui solo 13 studenti, un po’ pochi per quella che i media avevano presentato come una rivolta studentesca e giovanile. A scontri e attentati hanno preso parte e continuano a prendere parte professionisti della destabilizzazione armata, in buona parte paramilitari colombiani. Sembra esserci lo zampino di Uribe, l’ex presidente colombiano che da tempo avrebbe dovuto comparire di fronte ai giudici della Corte penale internazionale per le migliaia di uccisioni perpetrate nel suo Paese. L’obiettivo sembra essere quello di trasformare l’intera area caraibica in una specie di immenso Iraq, permettendo agli Stati Uniti di recuperare l’influenza perduta. Per questo la strategia imperiale punta a far fallire i colloqui di pace tra FARC e governo colombiano come pure il dialogo che il governo venezolano e i settori meno estremisti dell’opposizione stanno tentando di porre in atto.

O ancora, il pericoloso e sanguinoso caos in cui sta precipitando l’Ucraina a seguito della rivolta di piazza Maidan. Anche qui c’è un preciso interesse strategico degli Stati Uniti in ballo: recuperare una funzione di primo piano e un prestigio in qualche modo leso dal successo di Putin nell’evitare l’intervento esterno in Siria. Chi segue questo blog sa che non ho lesinato le critiche a Putin in varie occasioni. Ma quello che è giusto è giusto: l’attuale accerchiamento della NATO nei confronti della Russia, cui si accoda la decerebrata Unione europea, risponde solo alle esigenze di potenza degli Stati Uniti. Se era ridicolo parlare di un pericolo per l’Europa ai tempi dell’URSS, oggi solo qualche microcefalo paranoico piddino o forzaitaliota può temere il presunto espansionismo russo. Quanto ai nostri governanti, da almeno cinquant’anni hanno, con qualche eccezione, come per certi versi Craxi e Andreotti, rinunciato ad osare di articolare una politica estera autonoma dai diktat atlantici. Napolitano e Renzi si inseriscono a pieno titolo  in questa inveterata tradizione di servilismo, rivivificandola con un tocco di nuovismo in realtà per nulla originale.

Considerazioni analoghe valgono per la strategia di dirottare e frenare le rivoluzioni arabe, attuata dai poteri globali con la diretta partecipazione dei regimi dispotici della Penisola arabica.

La storia non è affatto finita, come pretendeva una ventina d’anni fa Fukuyama, ma continua proponendo situazioni al tempo stesso inedite e dotate di precise e salde radici nel passato.

I popoli devono potersi esprimere e decidere il loro futuro  evitando contrapposizioni sanguinose e gli Stati, quale che ne sia la natura, devono collaborare tra loro per fra fronte ai problemi globali, primo fra tutti quello ambientale. La realtà dei fatti spinge verso un effettivo multilateralismo e un dialogo fra situazioni che restano diverse, ma devono rispettarsi reciprocamente. Questa è l’unica chance per fermare  la deriva verso la guerra globale e la catastrofe. L’Europa deve recuperare in questo quadro una funzione positiva, ma potrà farlo solo buttando a mare i suoi attuali governanti. Ciò vale anche e soprattutto per l’Italia dove la mancanza di prospettive è davvero desolante, e non solo relativamente alla crisi economica.

Il voto alla Lista Tsipras il 25 maggio si presenta in questo quadro come un passaggio ineludibile per ricostruire una prospettiva di pace e giustizia sociale per l’Europa e per il mondo.

 

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