Quando ho visto Piero Pelù al concertone del Primo Maggio, ormai vecchio e stanco, le tempie ingrigite dal tempo, a cinquant’anni suonati ancora in canotta in favore di tattoo, tirare fuori un foglio bianco ho pensato che avesse da dire cose di un minimo peso. Chessò, una poesia di Sandro Penna. Invece, si era appuntato (ché altrimenti si sarebbe dimenticato!) il seguente, memorabile, lascito culturale: “Non vogliamo elemosine da 80 euro, vogliamo il lavoro. Il non eletto, il boy scout di Licio Gelli, deve capire che in Italia abbiamo un nemico interno che si chiama disoccupazione, che si chiama corruzione, voto di scambio, n’drangheta, camorra. Il nemico è dentro di noi, forse siamo noi stessi…gli unici cannoni che ammetto sono quelli che dovrebbe fumarsi Giovannardi” (pronunciato con doppia n)

In quel momento, in quel preciso momento, ho capito che le stime previste per la durata del “renzianesimo”, il periodo di potere attribuito a Renzi che gli ottimisti pongono sui vent’anni per mancanza di opposizione, sono decisamente tarate per difetto. In realtà sarà ben più lungo e doloroso. Perché se il mondo dell’arte, che per definizione è rivoluzionaria, se il mondo degli artisti, come qualcuno spericolatamente definirebbe Pelù, il massimo che può fare è buttare lì quattro cose sentite al bar appiccicate con la colla, tra qualunquismo e prima elementare, allora siamo fritti davvero. L’omologazione ha fatto il suo corso, il potere è riuscito nell’operazione più sottile: mettere le sue spie all’interno degli oppositori.

Quella paginetta bianca da leggere sul palco è la più terribile delle forme espressive del potere. Perché innanzitutto toglie freschezza alla spontaneità e ci riconsegna al compitino imparato a memoria, un concentrato di banalità che l’evocato Giovan(n)ardi potrà effettivamente apprezzare, come lo sforzo di un “collega” riuscito peggio.

I Pelù, tutti i Pelù d’Italia, ci consegnano a Renzi senza neppure poter trattare. In questo contesto di unanimismo dilagante, dove le scorribande tele-radiofoniche del sindaco svariano tra Amici di Maria de Filippi e Radio Montecarlo di Antonio Signorini (!), ci sarebbe bisogno di gente preparata, di gente responsabile che si prenda in mano una faccenda seria come dev’essere la critica al Potere al tempo di Renzi. Una critica sociale complessiva, che possa in un tempo identificare le criticità del suo programma, là dove ci sono, e non arretrare su un esame spietato e lucido del lessico renziano, che porta il Paese a una semplificazione provinciale che non sembra davvero una buona cosa.

Piero Pelù si era già occupato di Renzi al tempo in cui era sindaco di Firenze. Ora è tornato a farlo dal palco del Primo Maggio. Cantare e basta, no eh?

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