Su gentile concessione della casa editrice Marsilio, anticipo qui il primo capitolo del mio pamphlet “Il colpo di Stato permanente” in libreria dai prossimi giorni. (PB)

Che cos’è un colpo di Stato? È qualcosa che non riguarda la violazione della legge, di una o più norme costituzionali: le categorie giuridiche non sono in grado di spiegarlo, perché esso non è un problema di diritto, non ha nulla a che vedere con il rispetto o meno della legalità. 

Ma un colpo di Stato non è neppure un gesto «alla sudamericana», un golpe, un pronunciamento, con tanto di ingresso di fucili e militari nell’emiciclo del Parlamento: non indica di per sé un rivolgimento violento, quanto un’«esecuzione che precede la sentenza», come lo definì il libertino Naudé, che coniò l’espressione a metà del Seicento. 

Il colpo di Stato è, come scrive Michel Foucault in ‘Sicurezza, territorio, popolazione’, «l’automanifestazione dello Stato come tale, è l’affermazione della ragion di Stato secondo la quale lo Stato deve essere comunque salvato, e qualunque siano le forme impiegate per salvarlo. Colpo di Stato, dunque, come affermazione della ragion di Stato e automanifestazione dello Stato». 

«Salvare lo Stato», a qualunque costo, al di là – e non necessariamente contro (ma anche servendosene) – della legalità, del rispetto della legge. Si tratta di impiegare o non impiegare la legalità, a seconda delle circostanze. Iniziamo, allora, a vedere i caratteri fondamentali del colpo di Stato.

Esso è, anzitutto, un atto compiuto da parte di organi dello Stato stesso, che conserva tutte le apparenze della legalità o, più correttamente, che è insieme sempre legale e illegale, in cui è sempre impossibile – se ci si limita a un punto di vista giuridico – distinguere i due momenti. Ma, proprio per questo, esso rappresenta la fine di ogni possibile diritto. 

Non è una rivoluzione, ma una reazione da parte del potere che si sente minacciato. Non abbiamo visto, in questi ultimi anni, in Italia, uno Stato che difende la sua Costituzione democratica, ma una serie di organi dello Stato – il presidente della Repubblica per primo, e i «suoi» capi di governo – che hanno utilizzato la legalità, il rispetto formale della Costituzione, al solo scopo di conservare se stessi.

La «ragion di Stato» ha rovesciato ogni principio democratico: dalla legalità come strumento di garanzia dei diritti dei cittadini, alla legalità come mezzo tattico per mantenersi al potere anche contro la volontà dei cittadini. 

Questa situazione è divenuta permanente. Il colpo di Stato non è stata un’azione isolata, non è stata questione di un istante. È, diversamente, la condizione sotto cui viviamo da ormai tre anni.

Fu Mitterrand, nel 1964, a coniare l’incisiva formula «colpo di Stato permanente» (coup d’État permanent) per denunciare il sistema di potere gollista che si era affermato in Francia con la nuova Costituzione del 1958. Un potere legale ma senza legge, di diritto senza diritto. È il potere sotto cui viviamo oggi: potere che ha colpito a morte la nostra Costituzione, rispettandone le regole; potere che potrà sempre dire, quando avrà distrutto tutte le leggi e calpestato tutti i diritti: «ho agito legalmente, non ho commesso alcuna violenza».

 

 

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