Anche nella Casa di Reclusione di Rebibbia si è svolta, su iniziativa di alcuni insegnanti, una manifestazione legata alla giornata della memoria delle le vittime dell’Olocausto. Alcuni detenuti si sono alternati nella lettura di brani e poesie, poi è stato proiettato un film a tema. È sempre importante dedicare momenti di riflessione a questi temi, per non dimenticare ciò che è stato, per meglio interpretare ciò che succede oggi, per evitare che errori simili si ripetano nel futuro.

Parlare di campi di concentramento in carcere può essere particolarmente interessante. Viviamo tempi di sovraffollamento da più parti ritenuto insostenibile, una paurosa spirale in crescita di violenze e suicidi di persone detenute, incombenti sanzioni della Corte europea per violazione dei diritti umani fondamentali, il vuoto della legislazione italiana in un tema scottante ma inequivocabile come la tortura.

Di fronte a questa situazione (per la verità, nel nostro Istituto non grave come quella della maggior parte delle prigioni italiane), noi insegnanti, volontari, tutti gli operatori del carcere con il personale civile e la polizia penitenziaria, non possiamo che attenerci scrupolosamente al rispetto della legalità. Non bisogna però mai dimenticare il rapporto tra legalità e legittimità. Inutile ribadire che tanto il fascismo, quanto il nazismo riuscirono a imporsi come dittature nel pieno rispetto delle leggi vigenti.

Ora, non è il caso di fare paragoni troppo azzardati, ma non mi sentirei di escludere che anche nei campi di concentramento ci fossero operatori in buona fede, lavoratori che dovevano semplicemente riportare a casa uno stipendio per le proprie famiglie. Qual è la responsabilità dell’idraulico che sistemava le docce delle camere a gas? O, più recentemente, dell’ingegnere che mette a punto i meccanismi automatici che poi vengono inseriti nelle bombe giocattolo pensate con il preciso scopo di colpire i bambini.

Mi piace sperare in un futuro in cui per ciò che succede oggi in carcere ci sia bisogno di giornate di riflessione e tutto sia felicemente sorpassato. Il primo passo, lo dico per inciso, non può limitarsi al provvedimento di indulto (ahimé ormai evocato anche dai massimi vertici della Magistratura), che rischierebbe di non ripagare l’impopolarità che l’accompagna con l’efficacia della misura.

Tornando a noi, una delle maggiori lezioni che ho imparato con la mia lunga attività all’interno del carcere è che non esistono mostri: il mondo non è diviso in buoni e cattivi; al posto del bianco e del nero contrapposti in tante rappresentazioni, nella realtà si incontrano tante sfumature di grigio. Il male può scaturire anche da situazioni apparentemente “normali”. La filosofa Hannah Arendt parlava appunto di “banalità del male”. Stasera sarò al cinema a vedere il film che su di lei ha fatto Margarethe von Trotta

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