Mi si perdoni la discutibile citazione di Vittorio Sgarbi. Ma un sondaggio europeo sulla partecipazione culturale italiana non lascia scampo. Secondo i dati pubblicati in settimana dalla Commissione europea, un italiano su due ha una “bassa pratica culturale”, solo 8 su 100 hanno un interesse “alto” o “molto alto” per i prodotti culturali. Nell’indice di pratica culturale il 49 per cento degli italiani ha bassa pratica a fronte del 34 per cento della media europea. Male anche la lettura (-7 per cento), visite a monumenti (-8 per cento) musei (-4 per cento).

A livello europeo ci sono notevoli differenze tra gli Stati membri. In termini di frequenza di partecipazione a tutti i tipi di attività culturali i paesi nordici totalizzano il punteggio più alto, guidati da Svezia (43 per cento tasso di partecipazione alto o molto alto), Danimarca (36 per cento) e Olanda (34 per cento). All’altra estremità della scala ci sono la Grecia, dove solo il 5 per cento ha tassi elevati o molto elevati di partecipazione, il Portogallo e Cipro (6 per cento), la Romania e l’Ungheria (7 per cento), e l’Italia, con un misero 8 per cento. Se guardiamo i livelli di partecipazione attiva, in Danimarca il 74 per cento della popolazione ha partecipato attivamente in almeno un’attività culturale durante l’anno scorso, in Svezia il 68, in Finlandia il 63 e nei Paesi Bassi il 58 per cento. Solo il 20 per cento degli italiani intervistati ha detto di aver fatto la stessa cosa. Peggio di noi soltanto Bulgaria (14 per cento) e Malta (18 per cento).

Una lettura veloce di questi dati evidenzia una spaccatura in due dell’Europa: il Nord più culturalmente attivo, il Sud e l’Est più pigri. Guarda caso la stessa divisione che c’è dal punto di vista economico. A questo punto una domanda sorge spontanea: qual è la causa e qual è la conseguenza? Si potrebbe dire che a causa delle ristrettezze economiche e della crisi gli europei del sud e dell’est hanno meno tempo per nutrire lo spirito, leggendo un libro o guardando un film. Forse. Ma un’ipotesi più provocatoria suggerisce che è proprio l’inferiore interessamento culturale ad essere in parte causa della peggiore situazione economica e sociale. Diciamo la verità, Italia, Spagna e Grecia non se la passavano bene nemmeno prima del 2008, almeno rispetto a Svezia, Finlandia o Germania (in termini di lavoro, stipendi, welfare e così via). E’ una realtà che un popolo più colto, e non solo in senso scolastico, è più preparato ad affrontare la vita di tutti i giorni, interpretare il mondo attorno a se, difendersi da soprusi e propagande ed è meno incline ad appoggiare élite politiche discutibili.

Se la maggior parte degli italiani avesse visto il film “Citizen Kane” (Quarto Poteredi Orson Welles, forse Berlusconi non sarebbe mai stato Premier. E se la maggior parte degli italiani avesse letto “La fattoria degli Animali” di George Orwell forse i partiti populisti avrebbero meno terreno fertile. Il problema è che la cultura finisce sempre all’ultimo posto, perché come diceva Giulio Tremonti “con la cultura non si mangia” – affermazione ridicola e sbagliata. Ecco allora orde di giovani che crescono con la testa piena dei falsi modelli imposti dalla tv e dalla società dello spettacolo, un po’ di calcio la domenica e la frittata e fatta. Con il passare degli anni la società si inebetisce, non sapendo niente dei grandi filosofi del passato, non conoscendo la storia, il cinema, l’arte e la letteratura.

Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: una società incapace di rinnovarsi, dove “tutto cambia affinché nulla cambi” come scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pronta a bersi qualsiasi panzana assorbita passivamente dalla Tv, a perpetuare modelli economici del secolo precedente, a ignorare qualsiasi sfida ambientale mondiale e a continuare a vedere l’Europa con la miopia tipica del nazionalismo. E intanto la politica urla e si indigna, invoca il cambiamento e promette. Ma la vera rivoluzione, l’unica che potrebbe davvero “cambiare” le cose, forse è culturale e non politica (senza alcun riferimento storico a chi i libri li bruciava invece che leggerli). Leggere Bauman, imparare una lingua straniera, guardare un film di Loach, questo è un atto rivoluzionario, il resto è “solo chiacchiere e distintivo”.

www.alessiopisano.com

Articolo Precedente

Salerno, Crescent e Vincenzo De Luca. Le capriole di Vittorio Sgarbi

next
Articolo Successivo

Roma Film Festival, apre “L’ultima ruota del carro” di Veronesi

next