Difendere Alfano nel caso Ablyazov costa caro all’equilibrio interno del Pd, con spaccature e tensioni che rischiano di avere ripercussioni anche sul congresso nazionale da cui passerà il futuro del partito. Lo scontro, del resto, è su più assi. Non solo i renziani contro la linea scelta dai gruppi parlamentari, che hanno deciso di non votare la sfiducia al ministro dell’Interno. La polemica, ora, coinvolge le più alte sfere dei democratici. Solo ieri il ministro Dario Franceschini aveva assicurato che per rafforzare le larghe intese di tutto c’è bisogno, tranne che di un rimpasto. Peccato che il segretario Guglielmo Epifani, nelle stesse ore della dichiarazione del ministro per i Rapporti col Parlamento, abbia rilasciato un’intervista all’Unità con toni e messaggi diametralmente opposti.

“Il governo esce più debole dall’affare Shalabayeva, che per noi non è chiuso” ribadisce l’ex segretario della Cgil, il quale al contempo chiede che l’esecutivo “riacquisti autorevolezza e forza”, pena la mancata sopravvivenza alle sfide dell’autunno, e invita il governo a occuparsi di crescita e lavoro. Il caso kazako, spiega, “non è chiuso perché ha prodotto un vulnus impensabile in qualunque Stato sovrano. Quel che emerge, giorno dopo giorno, è la nostra totale cessione di autonomia come Paese – accusa Epifani – Sembra che un ambasciatore di una nazione straniera si sia incuneato nel nostro sistema e sia riuscito a portar via una donna e una bambina senza che nessuno lo abbia fermato”. Parole nette, come netto è il messaggio rivolto al titolare del Viminale e che cozza con l’orizzonte di stabilità tracciato da Franceschini e dal premier Letta. Per Epifani, infatti, di fronte “a una perdita di sovranità e di credibilità internazionale” occorre “fare chiarezza”. E in tal senso un passo indietro di Alfano “sarebbe stato opportuno”. dimissioni che, però, non potevano passare dal sì ‘democratico’ alla mozione di sfiducia ad personam, perché “sarebbe caduto il governo”, la cui sopravvivenza per il segretario è indispensabile al fine di “affrontare la crisi economica e sociale”. La ricetta del leader del Pd è sempre la stessa: “forti investimenti sulla scuola”, allentamento del patto di stabilità, risoluzione della questione esodati, apertura dei “rubinetti del credito per artigiani, piccole e medie imprese”.

Sulla stessa lunghezza d’onda di Epifani anche il capogruppo dei deputati democratici Roberto Speranza, che affida il suo pensiero al Messaggero: “Dopo il caso kazako, il governo è più debole se si attorciglia attorno a discussioni politiciste e senza senso. Ma è più forte, se riesce a fare le cose che riguardano la vita dei cittadini”. In tal senso, per il politico lucano un eventuale tagliando’ all’esecutivo potrebbe essere “utile” se si discute tra i partiti e le forze politiche. “Il caso kazako è stato un caso vero, difficile – aggiunge – su cui lo stesso presidente del Consiglio ha detto che non si può abbassare la guardia, perché ci sono ancora molti contorni da chiarire e non deve restare nessuna zona d’ombra. Su questo, come sul resto, Letta ha la nostra massima fiducia”.

Insomma, Franceschini ed Epifani sono su due linee parallele. Speranza è con il segretario. E questa non è una buona notizia per Enrico Letta, specie in vista del congresso da cui dovrà uscire il nome del nuovo ‘capo’. E che il conflitto interno post Ablyazov sia tutt’altro che risolto lo ha compreso alla perfezione l’ex ministro Beppe Fioroni, preoccupato per le ripercussioni delle spaccature sulla tenuta dell’esecutivo. Fioroni, in particolare, pensa che il congresso del partito fissato per ottobre “possa diventare un referendum sul governo”. “Se oggi io impazzisco e decido di candidarmi alla guida del Pd – è il ragionamento dell’ex ministro al Corriere della Sera – il modo più semplice che ho per prendere i voti è sparare contro il governo. Ma così impedisco a Letta di lavorare”. Poi la proposta: una fase cuscinetto pre congressuale per garantire a Letta libertà di manovra e sostegno. Fioroni la chiama “costituente delle idee”. Tradotto: “Fare i congressi di circolo, i provinciali e i regionali e tenere il congresso nazionale solo quando Letta sarà arrivato a buon punto nel cronoprogramma delle riforme”. Un’ipotesi che, se dovesse divenire realtà, incontrerebbe l’assoluta contrarietà di Matteo Renzi, mai come ora convinto della necessità del congresso nel minor tempo possibile. “Al netto di un’incontinenza verbale che rischia di dare agli italiani una overdose mediatica – è il parere di Beppe Fioroni – il Matteo scout che conosco io ha a cuore il suo Paese. Se gli propongo il gioco della torre e gli chiedo ‘chi vuoi buttare giù, l’Italia o te stesso?’, lui salva l’Italia”.

E mentre il Pd ‘discute’ e litiga su presente e futuro, Alfano difende la sua trincea. Dopo aver incassato la bocciatura della mozione di sfiducia contro di lui, il titolare del Viminale può vantare sicurezza. Sia sulla sua posizione che sulla tenuta del governo. ”Non ci sarà alcun passo indietro, né alcun rimpasto”, anche perché “non c’è una terza via tra questo esecutivo e il caos” dice al Corriere della Sera. Un caos sfiorato con il voto al Senato, che ha rappresentato “un momento di fortissima tensione” ma anche il punto di ripartenza delle larghe intese, perché “il rilancio dell’azione del governo nasce proprio dal discorso di Letta”. Il segretario del Pdl, poi, esprime “riconoscenza” nei confronti di Giorgio Napolitano che egli ritiene abbia “chiarito” che “si può non sapere”. Poi alcuni chiarimenti sulla vicenda kazaka e sui tanti punti ancora oscuri e su cui le parole del ministro non aiutano a far luce. “Ho ricevuto tre telefonate dell’ambasciatore kazako alle quali non ho potuto rispondere. Per questo ho incaricato Procaccini di occuparsi della vicenda” racconta Alfano, che poi ricorda: “Dopo l’incontro mi disse che il diplomatico chiedeva collaborazione per l’arresto di un latitante. Nulla di più”. Lui, quindi, non avrebbe “mai avallato”  il rimpatrio della moglie di un dissidente e della sua bambina di 6 anni. “Se davvero avessi autorizzato la procedura l’avrei subito ammesso e poi avrei difeso la mia scelta – spiega – Del resto c’erano anche le autorizzazioni della magistratura, potevo celarmi dietro quei provvedimenti“.

Sul piano politico, poi, impossibile non notare come alle tensioni democratiche abbia fatto da contraltare l’unità (almeno apparente) del Pdl, che si è “stretto intorno a lui, a cominciare dal leader Silvio Berlusconi“. “Resteremo uniti ancor di più fino al 30 luglio – aggiunge Alfano – perché la nostra preoccupazione per la vicenda giudiziaria è fortissima”. Parole non casuali. Anche perché la decisione della Cassazione sul processo Mediaset potrebbe rappresentare un ‘liberi tutti’ che metterebbe a repentaglio la tenuta del governo Letta. Perché un conto è difendere Alfano per salvare le larghe intese, un altro è salvare le larghe intese con Berlusconi condannato e interdetto. E in tal senso in casa Pd non verrebbe perdonata una linea soft che accetti le sparate dei falchi berlusconiani sull’altare dell’accordo di governo col Pdl. Esecutivo addio con Berlusconi condannato? “Il Pd rispetta rigorosamente il lavoro autonomo della magistratura a tutti i suoi livelli. Dopo di che, prendiamo atto delle sentenze. E’ il Pdl che deve dimostrare di avere questa stessa maturità”. Parole di Speranza.

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