Frode fiscale, riciclaggio, intestazione fittizia e truffa ai danni dello Stato. Il caso Ilva e il destino dei suoi padroni continua a essere al centro di una indagine giudiziaria. Questa volta però in campo è scesa la Procura di Milano che ha scoperto che oltre un miliardo di euro sarebbero stati “sottratti” all’azienda. Lo stabilimento è al centro da quasi un anno di una battaglia legale tra l’autorità giudiziaria di Taranto e il gruppo per il disastro ambientale dell’area.

L’ipotesi degli inquirenti, i pm Stefano Civardi e Mauro Clerici coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Greco, ha trovato un primo vaglio e il giudice per le indagini preliminari di Milano, Fabrizio d’Arcangelo, ha firmato un ordine di sequestro di beni per 1 miliardo e 200 milioni euro: immobili, titoli e disponibilità finanziarie “bloccati nel paradiso fiscale di Jersey”. Sono in corso una serie di perquisizioni da parte degli uomini della Guardia di Finanza di Milano e Varese. A quanto apprende il fattoquotidiano.it gli indagati sono quattro: i fratelli Emilio e Adriano Riva, rispondono per truffa e interposizione fittizia, gli altri due indagati – due professionisti – rispondono invece di riciclaggio.

Secondo quanto accertato nel corso delle indagini i Riva, mediante l’interposizione fittizia di alcuni trust in Italia e Svizzera, e di altre società, avrebbero nascosto la reale titolarità delle disponibilità finanziarie create con i soldi dell’Ilva, facendo risultare all’estero beni che, invece, sono nella loro disponibilità in Italia. L’obiettivo, secondo l’accusa, era di rendere applicabili i vantaggi derivanti dallo scudo fiscale: secondo le prime informazioni almeno otto operazioni. Nel mirino della Fiamme Gialle anche alcuni professionisti che hanno curato appunto la pianificazione fiscale. Secondo gli investigatori delle Fiamme GIalle con un “danno delle varie società del Gruppo industriale di riferimento” i fratelli Riva avrebbero accumulato all’estero una somma pari a 1 milardo e 200 milioni di euro nel corso del decennio 1996-2006.

“Il sequestro dei beni della famiglia Riva è una notizia importantissima per Taranto perché quelle risorse rappresentano la garanzia che le bonifiche potranno partire davvero” dice il presidente dei Verdi Angelo Bonelli che già lo scorso 30 novembre aveva presentato un esposto alla Procura di Taranto in cui si chiedeva l’applicazione dell’articolo 316 del Codice Penale e il relativo sequestro cautelativo e conservativo dei beni mobili e immobili, titoli dei conti correnti della Famiglia Riva.  “La bonifica di Taranto è un atto di giustizia importantissimo non solo per salvare la città dall’inquinamento ma anche per salvaguardare l’occupazione – continua il leader ecologista -. Ripulire Taranto dalla diossina e dall’inquinamento rappresenta una opportunità per dare lavoro agli operai (e non solo) che rischiano di perderlo a causa della crisi dell’Ilva. Solo con la messa in sicurezza della falda acquifera si potrebbe dare lavoro a migliaia di persone”.

“E’ immorale ed intollerabile che Taranto sia stata prima devastata e depredata dal punto di vista ambientale e poi abbandonata: il danno procurato alla città non è inferiore a 5 miliardi di euro – conclude Bonelli -. Per Taranto vanno garantite le risorse per le bonifiche, per l’emergenza sanitaria e il risanamento dell’area: quelle risorse che il governo Monti non ha voluto destinare ad una città violentata dall’inquinamento”.

 

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