Pedalare sulle strade di un Paese che non sa ancora muoversi. Giovanni Battistuzzi, 28 anni, giornalista freelance e cuoco, dal 4 al 26 maggio gira l’Italia in bicicletta. Quasi mille chilometri in 23 giorni, da Napoli a Brescia: le tappe del ‘suo’ Giro d’Italia viste nei bar sport si chiama Girodiruota. Una corsa parallela e diversa dal Giro dei professionisti. La regola è che si pedala sempre. Niente automobile per i trasferimenti. Niente treno. Perché spostarsi solo in bicicletta è possibile.

“L’idea era quella di seguire il Giro d’Italia in treno e in bici”, spiega Giovanni Battistuzzi in una pausa in un bar di Roma, la sua città di adozione – è nato a Conegliano Veneto (TV) – e la meta della sua sesta tappa. “Ma quando a novembre è uscito il percorso ho visto che era impossibile da seguire con mezzi alternativi. O hai l’automobile o niente”. Il motivo sta nella scelta delle città di arrivo e di partenza delle corse, troppo distanti tra loro: il posto da cui termina una tappa è spesso a più di un’ora di macchina da quello di inizio della successiva. “In pratica non è più un giro a pedali, ma in auto e bicicletta. Perciò ho deciso di fare un altro percorso”, da Napoli a Brescia, “solo su due ruote“.

Nel 2012, Giovanni Battistuzzi aveva seguito il Giro in treno in seconda classe. Dai vagoni, però, “l’Italia non si vede. Si vedono casomai i pendolari arrabbiati per tutti i disagi che devono sopportare ogni giorno”. “In bicicletta, invece, si capiscono tutti i problemi dell’Italia in fatto di mobilità”: dalle strade inagibili e pericolose alle piste ciclabili che, quando ci sono, si interrompono all’improvviso e sono pensate per tutto tranne che per le esigenze di chi corre in bicicletta. Come quella incontrata nella tappa numero sei a pochi chilometri da Cisterna Latina: “E’ ancora più pericolosa della strada – scrive sul blog di Girodiruota – è fuori carreggiata, è condivisa con i pedoni, è un continuo saliscendi per permettere ai vialetti di ingresso delle case a bordo strada e alle piccole viuzze che escono sulla principale di avere accesso alla strada”.

Quella delle piste ciclabili, sostiene Battistuzzi, è un falso mito: “Non è con una pista ciclabile in più che si cambia la mobilità. Bisogna fare un discorso più complesso. Mi sento vicino alle idee della Rete per la mobilità nuova, che mira a riorganizzare il modo di muoversi delle persone dando a tutti la possibilità di non usare la macchina”. E questo, si legge nel manifesto della Rete, si ottiene “spostando l’equilibrio della mobilità attorno a quattro perni: l’uso della bici, l’uso delle gambe, l’uso del tpl e della rete ferroviaria nazionale, l’uso occasionale dell’auto (car sharing, car pooling, taxi)”. Giovanni Battistuzzi si muove senza automobile da due anni: E’ una scelta. E fare questa scelta è già un modo per cambiare le cose. Più saranno i ciclisti più sarà difficile per le istituzioni continuare a ignorare il fatto che la strada non appartiene solo alle macchine” e che per la salute e il benessere di tutti vanno potenziati i mezzi alternativi. “Purtroppo il neo ministro dei Trasporti Maurizio Lupi ha appena detto di voler defiscalizzare fino al 50 per cento le tre opere stradali principali che si stanno realizzando in Lombardia”. Si tratta della Brebemi, della Pedemontana e della Tangenziale Est Esterna di Milano, opere definite da Battistuzzi “l’ennesimo passo nella direzione sbagliata”.

Anche il Giro d’Italia, secondo Battistuzzi, da una decina d’anni segue una pista errata e non pensa a quanto potrebbe fare per la mobilità intelligente. “Il Giro è un teatrino, un bellissimo teatrino, intendiamoci, ma non parla della bicicletta come mezzo di trasporto“. Le due ruote, infatti, restano confinate alla gara: oltre le tappe c’è la macchina. “Se con Girodiruota riuscirò a far capire che si può andare da Napoli a Brescia in bicicletta e che in bici si può pedalare ogni giorno a lavoro, ci si può spostare in città: allora questa esperienza sarà stata davvero utile”.

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