Quando un’industria farmaceutica possiede i diritti per fabbricare e vendere una molecola farmacologica utile alla cura di una grave malattia, riesce ad ottenere introiti inimmaginabili, è anche giusto, chi ha un’idea ne può ottenere guadagno.

Per legge però, dopo un certo periodo di tempo, quella molecola non è più proprietà dell’azienda ma “di tutti” in quanto il giusto guadagno derivante da una scoperta non può essere infinito e soprattutto non deve limitare l’accesso a quelle cure da parte di chi ne ha bisogno, scade la proprietà privata a beneficio della comunità. Negli ultimi mesi un’azienda ed un suo prodotto sono stati protagonisti di una vicenda molto significativa. La Novartis, colosso svizzero della farmaceutica (rientra tra le quattro maggiori industrie del farmaco mondiali), si è battuta a suon di carte, tribunali e ricorsi, con una nazione che nell’immaginario collettivo è “povera” ed arretrata, l’India (che in realtà è una delle potenze mondiali emergenti ed è molto meno arretrata di quanto si creda).

Il problema nacque alla scadenza del brevetto di un farmaco, di nome commerciale Glivec (in Italia), utilizzato nella cura di alcune forme di tumore, prodotto costato milioni di dollari per il suo sviluppo che è durato più di 10 anni. Questo farmaco ha due caratteristiche che lo rendono per certi versi rivoluzionario ma anche un “campione di vendite”: è molto meno tossico delle classiche terapie antitumorali (rappresenta una delle forme più moderne di chemioterapia) e funziona. Un’altra caratteristica del prodotto è il suo prezzo, elevatissimo.

Per una nazione che ha grosse fasce di popolazione sotto la soglia di povertà ed un’assistenza sanitaria non diffusa come da noi, il costo di un farmaco può fare la differenza tra la salute di un ricco e quella di un povero, con quest’ultimo che spesso rinuncerà alle cure. Ma l’industria indiana ha pensato bene di fabbricare lo stesso farmaco (cosa che fa per moltissime altre molecole curative) “a casa propria”, in forma generica nelle industrie nazionali, scoprendo con enorme soddisfazione di potere abbattere in questo modo i costi esorbitanti della cura (e non di poco, il farmaco originale costa attorno ai 2000 euro al mese, quello generico poco più di 100!).

Il punto dibattuto è molto sottile e fa riflettere sulle presunte “innovazioni” dell’industria farmaceutica. Per capirci: se un’industria ha un prodotto efficace in vendita esclusiva, allo scadere del brevetto, questo potrebbe essere prodotto (e venduto) da qualsiasi altra azienda. Ma se l’industria modificasse leggermente il farmaco iniziale mostrando che la modifica apportasse miglioramenti ed aumento di efficacia, il brevetto è, in parole povere, rinnovato, consentendo all’azienda di continuare ad avere l’esclusiva della vendita e del guadagno di quella sostanza.

E’ quello che è successo al Glivec. La Novartis, allo scadere del brevetto, ha modificato leggermente la composizione del farmaco, ottenendo così una molecola più efficace e sicura. Le industrie indiane hanno iniziato a produrlo per conto loro ed è a questo punto che la Novartis ha protestato chiedendo fosse rispettato il diritto alla “proprietà”, appoggiandosi soprattutto alla “modifica” del prodotto iniziale. Dopo un lunghissimo duello fatto di documenti, ricorsi, perizie e cavilli giuridici, lo “scontro” si è spostato anche sul piano politico e sociale, con continue proteste di piazza e l’industria che cercava una via “pacifica” regalando forniture di farmaco agli ospedali indiani: perché tutto questo interesse?

Una vittoria della Novartis avrebbe fatto entrare in crisi l’industria indiana (definita “la farmacia dei paesi poveri” perché fornisce farmaci a prezzi molto più economici di quelli “standard” a molti dei paesi dell’area sud-asiatica), creato un precedente fortissimo e rafforzato il potere industriale di un’azienda che non ne ha certo bisogno. Una vittoria dello stato indiano invece, avrebbe avuto un forte ruolo economico ma anche un notevole impatto simbolico: il paese “povero” che batte la multinazionale ricca, la nazione “arretrata” che sconfigge la moderna industria svizzera. Tanto era forte il valore della futura sentenza che si sono mossi (a favore dell’India) anche importanti associazioni, attivisti, politici e pensatori. Alla fine l’alta corte indiana nega alla Novartis l’esclusività di produzione del Glivec. Potrà continuare a produrlo ma potrà farlo anche l’industria nazionale ed è chiaro che, a quel punto, economicamente converrà sicuramente l’acquisto “casalingo”.

Essendo una vicenda che ha impegnato i più alti vertici giudiziari indiani con discussioni sull’interpretazione di leggi e del diritto commerciale, non è semplice dare un giudizio di merito ed addentrarsi nella ragionevolezza della sentenza, ma sicuramente una cosa del genere è un duro colpo per le industrie del farmaco ed una dimostrazione che non esistono “poteri forti” imbattibili. Un altro particolare potrà sfuggire ai più: uno dei “trucchi” più diffusi nello sviluppo di farmaci è quello di “revisionare” un prodotto già noto da tempo cambiandone solo lievemente le caratteristiche. Gli effetti e la validità restano praticamente identici ma quella piccola modifica, avendo valore giuridico, permette alle aziende di spacciare per “innovativi”, dei farmaci che in realtà esistono da tempo e ed hanno innovato molto poco (o nulla), prolungando i benefici del brevetto.

La “lezione” indiana quindi, non servirà solo agli abitanti di quel paese ma anche a tutti noi, ma ad una sola condizione, quella che tutti i paesi combattano le speculazioni sanitarie, in caso contrario le aziende farmaceutiche abbandoneranno le nazioni più “rigide” nei regolamenti per investire in quelle che permettono di giocare con i prezzi e con la salute.

 

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