Il consiglio comunale di Bologna ci ha riproposto una delle maschere tipiche di questi anni, in cui sono apparsi sulla scena politica movimenti allo stato nascente: quella del miracolato. Ossia un tizio o una tizia tratto/a improvvisamente fuori dal più totale anonimato di una vita insignificante e investito/a di un qualche ruolo che induce l’impressione di essere importanti. Il meccanismo psicologico per cui se indossa la divisa di ausiliario del traffico un omarino qualunque è convinto di essere assurto a “pubblico ufficiale”, titolato a molestare chi gli passa a tiro dall’alto della sua ipotetica autorità; per cui il presidente dell’assemblea di condominio si presume nei panni del grande leader che manovra i consensi e attua chissà quali spericolate manovre regolative (dall’accompagnamento dei cani per le loro giornaliere deiezioni all’illuminazione dei ballatoi).

Mascherine patetiche, che diventano mannare quando la vicinanza al (o la delega del) leader consegna loro un simulacro di potere. Vent’anni fa ne avevo visto comparire a frotte quando l’entrata in campo di Romano Prodi fu accompagnata dal fiorire di comitati intestati a suo nome, dove coordinatori prevalentemente autonominati giocavano all’alta politica, con risultati assolutamente penosi nella loro pretenziosa insignificanza. Appunto, “miracolati” situazionali; come nella corte di Umberto Bossi (il cosiddetto “cerchio magico”, composto da un ricco campionario di casi umani) ai pasdaran berlusconiani, gente che avendo estratto il numero fortunato nella lotteria della vita era transitata in un attimo da attività problematiche agli stucchi dorati dei Palazzi delle istituzioni e ai relativi benefit.

Miracoli inspiegabili già da parte dei diretti beneficiati, la cui sorpresa trapelava nell’espressione – in bilico tra “l’ancora stupito” e “il nuovo protervo” – di chi non intendeva più farsi ricacciare nelle situazioni precedenti: dalla grifagna Rosy Mauro per arrivare alla mascherina spiegazzata da una vita di umiliazioni subite e malignità praticate del Fabrizio Cicchetto.
Sicché questi miracolati ormai sono pronti a lottare con le unghie e con i denti per la difesa dello status calatogli dall’alto. Altrettanto per questo mantengono un atteggiamento di assoluto servilismo rispetto a “quell’alto”, rappresentato dall’inatteso benefattore (il proprio leader, più o meno carismatico); cui offrono in continuazione acritico omaggio vassallatico e totale devozione. Che si trasforma in aggressività mannara nei confronti di chi non segue la stessa regola nei confronti di tale Capo Supremo e si permette un briciolo di autonomia di giudizio.

Aggressività mannara che risponde a due esigenze: acquisire ulteriori benemerenze presso il proprio benefattore grazie al killeraggio del reprobo/a; eliminare un esempio che smaschererebbe la propria miseria esistenziale.
Per questo i miracolati/killer hanno sempre un po’ l’espressione del Beria di quartiere o del Farinacci del bar, del commissario politico di staliniana memoria o dell’uomo di mano d’epoca mussoliniana: quello sguardo – al tempo – torvo e inespressivo che esibivano nel consiglio comunale bolognese i colleghi di M5S della Federica Salsi reduce dal linciaggio mediatico. Probabilmente lo stesso sguardo dei persecutori delle streghe di Salem. Accompagnato dalla fierezza di stare dalla parte giusta; che assicura un posticino nella Chiesa che officia il rito del nuovo conformismo.

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