Il Ministro dell’istruzione Francesco Profumo dal 1 settembre 2013 vuole aumentare l’orario di servizio del personale docente della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado a parità di stipendio.

Controproposta: perché non mettiamo il cartellino da timbrare anche per i docenti? Non ho mai capito perché l’operaio che resta in fabbrica mezz’ora in più del proprio turno viene pagato con gli straordinari, così l’impiegato o molti altri lavoratori. L’insegnante no. Perché non ci pagano quei minuti che passiamo ad aspettare genitori che al suono della campanella non vengono a riprendersi i figli? Perché non ci pagano le ore che trascorriamo a preparare lezioni, a compilare registri, a firmare, controfirmare, vidimare programmi, progetti, piani di ogni tipo? Non capisco perché se ritengono necessaria la mia partecipazione alla commissione continuità o alla commissione valutazione o a qualche altra caspita di commissione, non dovrei essere pagato? E  il tempo, le telefonate fatte fuori dall’orario scolastico per organizzare i viaggi d’istruzione, trovando soldi a destra o a manca perché la scuola non ne ha, chi ce lo paga?  Se un giorno dovessimo smettere di fare tutto ciò che accadrebbe, caro Ministro?

Voglio un cartellino da timbrare: voglio essere pagato per quei minuti in più che non regalo alla scuola perché ho scelto di fare il volontario del Ministero della pubblica istruzione. Eppure la strategia di Profumo è un’altra: usarci come schiavi. Nella Legge di stabilità si specifica che “nelle sei ore eccedenti l’orario di cattedra il personale docente non di sostegno della scuola secondaria titolare su posto comune  è utilizzato per la copertura di spezzoni orario disponibili nell’istituzione scolastica di titolarità e per l’attribuzione di supplenze temporanee per tutte le classi di concorso per cui abbia titolo nonché per posti di sostegno, purché in possesso del relativo diploma di specializzazione”. Ne consegue che vi saranno 30 mila posti sottratti ai precari che facevano le supplenze.

Gli stessi precari ai quali quest’anno grazie alla spending review verrà pagato il trattamento di fine rapporto nove mesi dopo essere stati licenziati. L’altro giorno ho telefonato all’Inpdap di Cremona, l’istituto nazionale di previdenza per i dipendenti della pubblica amministrazione. Mi ha risposto il solerte Francesco, impiegato presumo. Ho chiesto a lui delucidazioni: “E’ per la spending review. Lei quando è stato licenziato? Il 30 giugno? Inizieremo i pagamenti a gennaio e abbiamo tempo fino alla fine di marzo”. Mi piacerebbe sapere se anche il tfr di Roberto Formigoni e dell’assessore Raffaele Cattaneo, se finirà la legislatura, verrà pagato con nove mesi di ritardo.

Ciliegina sulla torta: la questione ferie. L’art. 5 del Decreto Legge 6 luglio 2012 n. 95 “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini” prevede che

le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti ivi inclusa la Consob, sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi.

Ciò significa: le ferie non ve le paghiamo. Ma non possiamo nemmeno farle perché secondo il contratto nazionale le ferie “devono essere godute dal personale docente durante i periodi di sospensione delle attività didattiche; durante la rimanente parte dell’anno, è consentito al personale docente di andare in ferie per un periodo non superiore a sei giornate lavorative. La possibilità di usufruire di questi 6 giorni è subordinata alla possibilità di sostituire il personale in ferie con altro personale in servizio nella stessa sede e, comunque, alla condizione che non vengano a determinarsi oneri aggiuntivi anche per l’eventuale pagamento di compensi per ore eccedenti”.

Qualche dirigente così ha ben pensato alle ferie d’ufficio a Natale e Pasqua. Insomma cornuti e pure mazziati.

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