No, mai e poi mai mi lamenterò di quel treno che mi sottrae dal quotidiano portandomi a Roma da Firenze e viceversa, in un niente e che in ogni caso mi da’, da un mio personalissimo  punto di vista, sempre il senso di privilegio dello stare seduto a leggere, a guardare o, da qualche anno, a scrivere, magari dieci righe per questo blog.

Cominciai a frequentare questa tratta, diciassettenne, quando i miei genitori disperati mi reclusero per un anno in un punitivo collegio romano. E già allora quelle tre ore e mezzo mi portavano in tutti  i sensi ad altro che, per fortunato carattere, ho sempre amato.

Era il 1971 e per quei 10 mesi di quasi prigionia quel vagone come una camera di decompressione emotiva mi aiutava a crescere nonostante le prime imbarazzate sigarette fumate negli scompartimenti di quelle improvvise e momentanee famiglie viaggianti. Incontri taciturni o improvvise, alluvioni di parole che mi affascinavano per quel che mi raccontavano. La rete ferroviaria che si faceva rete prima di Google e prima che qualcuno infilasse questa parola nel vocabolario di una politica possibile.

Il buio e la luce delle gallerie che ci incapsulava con improvvise compressioni e ci trasformava in astronauti del quotidiano. E il tutto avveniva in rapidi, in notturni e in diretti che quasi sempre si trasformavano in lentissimi locali. Oggi corre e spesso spacca il minuto e quasi quasi vorresti un quarto d’ora in più tanto per finire il capitolo. Niente, le due città mi accolgono e solo la certezza del tornarvi sopra, da lì a qualche giorno, limita l’immediata nostalgia dell’arrivo.

Oggi, con i miei 58, avevo da sciogliere una bustina di un blando medicinale ed ho chiesto nel traballante bar, che comunque mi piace, due centimetri d’acqua. Secca e frantumante le mie aspirazioni  è arrivata l’improbabile risposta: no mi spiace ma deve comprarsi una bottiglietta, costo 1 euro e 60 centesimi. Pago e polemicamente sorrido, dopo aver concluso l’assunzione e lasciandola lì dico a me stesso e al ligio inserviente: “La tenga, magari arrivano altri a chiederle due centimetri d’acqua…”.

Frecciargento delle 11.45 di martedì scorso, Roma termini. Benvenuti nel paese dell’accoglienza. Dove in 54 si muore per mancanza di acqua in un mare nemico ma sicuramente innocente, dove chi uccide è l’ignavia degli uomini che si manifesta, nel grande e nel piccolo, in pace e in guerra, ieri come oggi, e dove l’unica speranza è scegliere per se e per gli altri il progetto culturale di volersi più bene, il rivoluzionario e pericoloso volersi bene, senza l’urlo, senza il timore senza la spaventosa paura che ti fa stolto al mattino e criminale alla sera.

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