Partimmo da Pianosa solo con l’urgenza di dover arrivare a Marina di Campo. Nessuno avrebbe fermato da quel convincimento gli adulti. Avevano lasciato la casa aperta e poi qualcuno di loro doveva in ogni caso tornare a Portoferraio per andare con l’ultimo traghetto in continente. La sciroccata gonfiò in maniera inverosimile il mare nel breve tratto che divideva le due isole. Il gommone che viaggiava affiancato alla piccola barca a vela di mio padre vedeva l’albero, alto ben otto metri, della nostra randa già terzarolata scomparire ogni qualvolta scendevamo da quelle colline d’acqua.

Enzo urlò alla giovane moglie di andare, stringendo le gambe sulla bittina di prua, a calare il fiocco. Noi ragazzi guardammo poi con meraviglia i lividi che le erano apparsi nell’interno delle gambe e fummo fatti scendere sotto coperta. Io protestai con mio padre al quale bastò guardarmi un’unica volta per convincermi che non c’era tempo per discutere.

Lo stomaco andò sottosopra a tutti e nelle facce altrui capìi il profondo disagio che si mischiava alla paura. Io, niente quasi esaltato dalla situazione, percepii il mio coraggio in quel rischio di naufragio. Oggi so che era solo il frutto della giovane età che ti fa affrontare tutto e di più con una beata incoscienza. Toccammo terra su un molo di duro e sicuro cemento e chi doveva partire salutò tutti. Mia madre si fermò da Furio, un amico ponzese che aveva seguito la nostra traversata pronto ad intervenire con un potente binocolo. Nell’andar via ci regalò due bellissime seppie. La sera a cena mia madre portò un passato stupefacente. Scherzando disse a tutti che era la giusta medicina per tutti i disagi di stomaco che avevano patito durante quella strana giornata. Guardammo quella crema assolutamente nera con perplessa meraviglia ma il profumo che si sprigionava dalla zuppiera ci convinse che era la giusta cura. Poi dopo i primi cucchiai ci ritrovammo tutti con dei baffi neri sopra le nostre labbra e una risata collettiva fu la bellissima catarsi di un giorno pieno di vento.

Soffritto di cipolla, sedano e carote fino al color bronzo. Poi aggiungere aglio tritato con un non niente di origano, seme di finocchio macinato e peperoncino e, dopo pochi minuti, seppie e un pari peso di patate. Allungare con acqua per stufare il tutto. Cotte le patate, con un frullatore di buona qualità frullare finissimamente, aggiugendo per un chilo fra patate e seppie un mezzo bicchiere da cucina di buon olio. Infine, continuando a frullare, metteteci dentro anche i sacchetti del nero di seppia. Il miracolo avverrà sotto i vostri occhi con l’ovvia raccomandazione di usare assoluta freschezza. Un’ultima raccomandazione: riprendete in mano Ossi di Seppia di Montale.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Il popolo usò la testa

next
Articolo Successivo

All’erario piace vincere facile

next