Ospedali presi di mira, torture e aggressioni contro pazienti e personale medico. E’ l’ultima frontiera della repressione siriana a firma del regime di Damasco. A sostenerlo, nel pesantissimo rapporto “Crisi sanitaria: il governo siriano rende di mira i pazienti feriti e il personale medico” pubblicato oggi è Amnesty International.

Negli ultimi mesi in Siria diversi ospedali sarebbero stati trasformati in veri e propri “strumenti di repressione”. Nelle strutture di Banias, Tel Kalakh e Homs i pazienti avrebbero subito torture e abusi, a volte perfino per mano del personale medico, e diversi operatori sospettati di aver prestato soccorso ai manifestanti sarebbero stati arrestati e brutalizzati.

Lo raccontano in una serie di testimonianze choc, pazienti e personale medico che avrebbero assistito a scene di violenza. Un medico di Homs avrebbe visto le forze di sicurezza picchiare brutalmente e poi portar via un uomo dall’ospedale di Tel Kalakh il 22 agosto scorso.

Gli uomini di Damasco, secondo il rapporto, agirebbero con ampia libertà, portando via regolarmente i feriti dagli ospedali. E’ quello che secondo diversi testimoni sarebbe successo lo scorso 7 ottobre in un ospedale, ancora una volta a Homs, dove agenti e soldati avrebbero fatto irruzione alla ricerca di un comandante dell’opposizione arrestando 18 pazienti.

“È profondamente allarmante il fatto che le autorità siriane sembrerebbero aver dato mano libera alle forze di sicurezza negli ospedali, e che in più casi lo staff ospedaliero sembrerebbe aver preso parte alle torture e ai maltrattamenti nei confronti delle persone di cui dovrebbero prendersi cura”, ha commentato Cilina Nasser di Amnesty Iternational.

Fatto sta che sempre più persone tendono a evitare gli ospedali per scongiurare rastrellamenti e violenze. A lanciare l’allarme sono gli stessi medici di Homs che denunciano un evidente calo di ricoveri per ferite da armi da fuoco a partire dallo scorso maggio, proprio quando il numero delle vittime civili è salito in maniera quasi esponenziale.

Di fatto i medici rischiano di avere le mani sempre più legate: le scorte di sangue in Siria sono gestite in modo unitario dalla Banca centrale del sangue, controllata dal ministero della Difesa. Con evidenti conseguenze: “Ogni volta che riceviamo un paziente con ferite da arma da fuoco e che ha bisogno di sangue – ha raccontato un medico ai ricercatori di Amnesty – non sappiamo che fare. Se facciamo richiesta alla Banca del sangue, le forze di sicurezza sapranno chi è e lo porremmo a rischio di arresti, tortura e possibile morte in carcere”.

Lo stesso personale medico, del resto, è sotto scacco. E rischia in prima persona. Chi cura i feriti e chi è sospettato di aver preso parte a manifestazioni anti-regime finisce nel mirino delle forze di regime. Lo scorso 7 agosto, per esempio, una ventina di soldati avrebbero arrestato diversi operatori sanitari accusandoli di aver curato alcuni feriti senza avvertire le autorità. Per loro è iniziato un calvario fatto di intimidazioni, interrogatori e brutalizzazioni per ottenere nomi di feriti e colleghi.

“Gli operatori sanitari siriani sono stati posti in una situazione impossibile, costretti a scegliere tra curare i feriti e pensare alla loro salvezza”, denuncia Amnesty che ha chiesto a Damasco di “assicurare che tutti i pazienti siano trattati equamente senza discriminazioni basate sulle loro presunte attività o aspirazioni politiche”. E ricordando che “chiunque sia sospettato di ritardare, ostacolare i interferire nel lavoro del personale medico nel fornire cure ai feriti dev’essere chiamato a rispondere delle sue azioni”.

Ma Damasco è sorda, e in Siria proseguono le violenze. Domenica almeno 23 civili sarebbero stati uccisi dalle forze di sicurezza, 7 agenti di sicurezza sarebbero stato uccisi oggi da un gruppo di disertori, mentre nella provincia meridionale di Deraa oggi i negozi sono rimasti chiusi in segno di protesta contro il pugno di ferro del presidente Bashar al-Assad, e si temono nuove violenze con l’arrivo dei soldati incaricati di porre fine allo sciopero.

di Tiziana Guerrisi

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