Il 7 luglio, giorno del cda della Rai, sapremo se Raiset (dirigenti Rai al servizio di B. che gli hanno consentito di controllare la tv di Stato) opera ancora, in perfetta continuità con Deborah Bergamini prima e Mauro Masi poi. In una delle intercettazioni telefoniche dell’11 aprile 2005 si capisce la gravità di tale dipendenza. La segretaria di B., per conto del capo, ordina alla Bergamini di convocare una riunione allo scopo di schedare “giornalisti, artisti e programmi”, perché “la Rai così non gli serve”. “Perché averla senza averla?” Si chiede la Bergamini, alla quale fa eco Mimun: “L’informazione deve essere un presidio anti-guai”. Fa un po’ sorridere la smentita fatta su il Fatto Quotidiano dall’ex direttore generale Flavio Cattaneo: “Con Raiset non c’entro”. È vero che è risultato estraneo a qualsiasi fatto, gli stessi protagonisti di Raiset hanno chiesto, ottenendola, la sua testa, ma qualche responsabilità se la porta dietro lo stesso.

Cattaneo è l’autore di una riforma che ha suddiviso la Rai in macroaree. Con lui finì l’autonomia del direttore di rete. Ancora oggi, ogni passaggio che porta alla realizzazione di un programma deve essere controfirmato dal capo della macroarea interessata. Altra responsabilità è stata quella di aver messo nelle mani di alcuni fidati di B. (con tanti dirigenti validi a disposizione), presenti nelle intercettazioni, aree strategiche dell’azienda. Tra questi Alessio Gorla (assunto direttamente da Mediaset), capo delle Risorse televisive, da lui passavano tutti gli appalti delle produzioni e i contratti inesclusiva degli artisti. Dal curriculum risulta che oltre a essere stato un importante dirigente di B., nel 1994 organizzò, assieme a Dell’Utri, l’entrata in politica del Cavaliere e la campagna elettorale di Forza Italia. Attualmente è consigliere di amministrazione. Al Marketing strategico fu nominata Deborah Bergamini. Prima di entrare in Rai era l’assistente personale di B. I due si erano conosciuti a Londra, durante una conferenza stampa, alla fine degli anni Novanta. Lei lavorava nella redazione di Bloomberg, lui rimase colpito al punto che la fece entrare, dopo poco, nel suo staff e nel 2001 la portò a Palazzo Chigi. Le intercettazioni telefoniche, riferite al tentativo di ritardare il più possibile la comunicazione della sconfitta elettorale di B. alle elezioni amministrative del 2005, scoprirono una sorte di ragnatela che avvolgeva e intrecciava le vicende della tv della Rai con quelle di Mediaset, che invece di competere tra loro per vincere l’ascolto, in realtà si scambiavano informazioni strategiche sui palinsesti e concordavano strategie informative sui grandi fatti di cronaca. I pm di Milano indagavano sul fallimento dell’ex sondaggista di B., Luigi Crespi (fu sua l’idea del “contratto con gli italiani”, quello firmato da B. in tv da Vespa), che ammontava a 35 milioni di euro. Nel 2000 la sua società, con un versamento di 500 milioni di lire, aveva chiuso una vertenza di due tv lombarde che avevano fatto causa a Mediaset.

Gli inquirenti scoprirono un debito delle tv di B., nei confronti di Crespi, di pari entità, poi saldato con falsi contratti di consulenza. La Bergamini, grazie alle intercettazioni, risultò il tramite tra Crespi e il referente di Mediaset: Alfredo Messina, vicepresidente di Mediolanum. Bergamini diventa così la chiave che svela Raiset. Come per ogni storia che riguarda B., il finale è sempre lieto: l’ex segretaria di B., dopo aver rischiato il licenziamento dalla Rai, trova un accordo economico per un’uscita con l’onore delle armi (il cda, a firma del presidente Petruccioli, l’ha ringraziata per il prezioso lavoro svolto), e ritorna – ammesso che fosse mai partita – a lavorare con il premier.

La proposta del consigliere dell’Udc De Laurentiis di riportare in autunno Annozero su Rai2, dopo aver perso Vieni via con me, è l’ultima carta che gli attuali vertici hanno per dimostrare la loro indipendenza da quel conflitto di interessi che condiziona, in Italia, da oltre 17 anni, tv e politica.

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