Il sindaco dimissionario dell'Aquila Massimo Cialente

“Non ho più una maggioranza e neppure un partito su cui poter contare. Né un Consiglio comunale con la voglia di andare avanti”. Parole dure, quelle che accompagnano le dimissioni ufficiali di Massimo Cialente, ormai ex sindaco dell’Aquila. Parole che raccontano come, dietro alla resa del sindaco, si nasconda un dramma nazionale e locale insieme.

Emergenza abitativa e sociale
“Io ho fato un’azione di cuscinetto drammatica. Con tutti”, ha detto Cialente nel corso del suo intervento al Consiglio comunale. Ovvero, con il governo, con Silvio Berlusconi, con Guido Bertolaso, con i cittadini che contestavano, con quelli che credevano alle promesse. Ma la situazione rimane drammatica ancora oggi.

L’emergenza abitativa è irrisolta. Dopo due anni dal terremoto, sono ancora in fase di riparazione le case classificate A, quelle con pochi danni: da dicembre a marzo sono arrivate altre 800 domande per i contributi di riparazione. Sono arrivate solo 2.576 domande per le case E, quelle danneggiate più gravemente, a fronte di circa 15mila edifici che rientrano nella classificazione. E ne sono state approvate solamente 654. Risulta ancora irrisolto persino il nodo cruciale delle macerie: l’ordinanza per chiarire definitivamente le procedure di rimozione è del 18 febbraio 2011, quasi due anni dopo il sisma.

Oltre 1.200 persone vivono ancora negli alberghi e 269 in caserma (dati del report del Commissario per la ricostruzione, 8 marzo 2011). E i militari controllano ancora la zona rossa, almeno fino al 31 marzo.

Uno studio dell’Unione europea, condotto fra i terremotati da David Alexander – uno dei massimi esperti in materia di grandi disastri – rileva che, su un campione di 15mila intervistati solo il 65% ha un lavoro. Il 73% lamenta la “totale mancanza di posti di ritrovo per la comunità”, il 43% soffre di disagi psicologici. I casi di depressione sono in aumento e cresce il senso di isolamento ed emarginazione.

Una città abbandonata
Come se non bastasse, dopo l’intervento muscolare nei giorni immediatamente successivi al sisma e la magniloquenza del Progetto C.A.S.E. (intervento criticato nello studio di Alexander perché non ha avuto attenzione per gli aspetti sociali del terremoto), lo Stato sembra aver chiuso i rubinetti. Nel documento che la maggioranza del Consiglio comunale ha redatto in segno di solidarietà a Cialente si legge, fra l’altro: “I mancati trasferimenti dal governo e dal ministero delle Finanze per circa 50 milioni di euro e il conseguente ‘buco’ nel bilancio di 32 milioni di euro costituiscono una voragine che rischia di ingoiare il futuro della città e di far precipitare la sua ricostruzione, anche economica e sociale, in un impasse dalle dimensioni drammatiche e fatali”.

Il commissariamento in vista
E’ probabile che la richiesta al ministro degli Interni Roberto Maroni di votare il 15 maggio in concomitanza con le altre amministrative non verrà accolta. Così, se Cialente non cambierà idea nei venti giorni che devono trascorrere perché le dimissioni diventino effettive, si profilerebbe un commissariamento del Comune per un anno, ovvero la governance da parte di una struttura non eletta, in un momento decisamente critico.

D’altra parte, nei due anni che sono trascorsi a partire dal sisma, più che le istituzioni locali ha comandato con potere quasi assoluto la Protezione civile. Come disse l’avvocato Antonio Valentini – la cui denuncia ha portato all’inchiesta sulla Commissione Grandi Rischi – in una delle tante assemblee cittadine che si sono svolte all’Aquila, “un potere assoluto si può esercitare solo a fronte di un vuoto assoluto”.

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