In questo inizio di XXI secolo, l’Argentina ha già avuto due presidenti di origine calabrese: Maurizio Macrì e l’attuale Javier Milei. Il colore del partito di Milei è il viola. Questo partito ha fagocitato quello di Macrì, non permettendogli di includere nell’accordo né il nome della forza che ha governato tra il 2015 e il 2019 né il colore giallo che lo caratterizzava. Ma anche se non si vede più, Macrì è un abbonato fondamentale alle “pagine gialle”. Delle radici calabresi di Milei si sa che il nonno Ciccio partì da Cosenza per Buenos Aires 99 anni fa, in riconoscimento del quale Giorgia Meloni gli ha concesso la cittadinanza italiana. Su Macrì le informazioni sono tanto abbondanti quanto sorprendenti. Alla fine della seconda guerra mondiale, suo nonno Giorgio fu uno dei fondatori del Frente del Hombre Común. Nato come settimanale satirico, diretto dal drammaturgo napoletano Guglielmo Giannini, divenne poi un partito politico finanziato da Confindustria. Quel Fronte esprimeva l’insoddisfazione della piccola borghesia e di alcuni settori imprenditoriali nei confronti della classe dirigente italiana. Si opponeva ai partiti antifascisti del Cln. Nelle elezioni costituenti del 1946 ottenne più del 5 per cento dei voti e trenta seggi. Il suo slogan era l’antipolitica; i suoi temi l’anticomunismo e l’ordine; e il suo emblema una pressa che spremeva un poveraccio per fargli sputare fino all’ultimo centesimo. Si dissolse quando il Vaticano intercedette presso gli Usa, le cui truppe occupavano ancora l’Italia, affinché la forza scelta per contenere il comunismo non fosse il qualunquismo, ma la Dc.
I patriarchi dei presidenti, i clan e le fortune arrivate al potere in Argentina
Non è chiaro perché Giorgio Macrì abbia lasciato gli affari e tre figli alle spalle per imbarcarsi alla volta di Buenos Aires. Ma si sa che era parente di ‘Ntoni Macrì, di Siderno, che fu uno dei capi della ‘ndrangheta fino al suo assassinio, nel 1975. Siderno si trova a 30 chilometri da Polistena, nella pianura di Gioia Tauro, dove Giorgio Macri fece fortuna con una impresa di costruzioni. Il porto di Gioia Tauro, il più grande della Calabria, fu costruito e rimane sotto il controllo delle ‘ndrine. L’impresa edile di Giorgio ottenne grandi appalti non solo in Italia ma anche in Libia, colonia italiana ai tempi del fascismo. È sorprendente che la famiglia abbia continuato in Argentina con gli stessi affari che aveva in Italia. I latifondi, le imprese edili, la concessione delle poste, l’incursione in politica con un partito antipolitico, gli affari personali con lo Stato si ripetono nella famiglia di ‘Ntoni Macrì. Il primo figlio, Franco, sposò l’ereditiera Alicia Blanco Villegas, e nel 1959 diedero alla luce il primogenito che sarebbe diventato presidente dell’Argentina. Il secondo figlio di Giorgio, Tonino, ebbe Jorge, l’attuale governatore della capitale, e l’unica figlia, Pia, ebbe Angelo Calcaterra, proprietario nominale delle aziende familiari, processato per tangenti. Con 26.381 ettari nella provincia di Buenos Aires, il Gruppo Agropecuario Blanco Villegas fa parte della cúpula dei maggiori proprietari terrieri del Paese. Gli azionisti sono la madre dell’ex presidente Macrì, suo fratello, Jorge Alberto Blanco Villegas e altri familiari. Jorge Blanco Villegas è stato presidente dell’Unione Industriale. È stato anche concessionario Fiat quando i Macrì dirigevano la sua attività e ha presieduto il Banco Comercial.
Sebbene Franco Macrì si sia presentato come un self made man, la grande impresa che ha creato non sarebbe stata possibile senza le risorse di suo padre. Tutta la sua attività si basava su accordi con diversi governi. Attraverso la Banca d’Italia ha finanziato l’addestramento che i veterani della guerra sporca argentina hanno impartito ai contras centroamericani. Durante una perquisizione nell’ambito delle sue indagini sul traffico di armi e droga da parte della P2, il giudice trentino Carlo Palermo ha trovato documenti relativi a un accordo tra Italia e Argentina: se la dittatura fosse riuscita ad acquistare missili Exocet nonostante il blocco inglese, ci sarebbero stati buoni affari per le aziende italiane a Buenos Aires. Secondo tale documentazione, erano coinvolti in tale accordo Craxi, Gelli, il banchiere del Vaticano Roberto Calvi, Franco e Tonino Macrì, i Rocca della Techint e Gaio Gradenigo, un torturatore della Repubblica di Salò.
Per lanciare la sua carriera politica, Maurizio Macrì ha assunto dei consulenti che lo distaccassero dal padre e dalla P2. Quando l’ho intervistato, ha detto che non era responsabile degli affari di suo padre. Ma in realtà era il vicepresidente esecutivo delle Società Macrì (SOCMA). Per uno dei suoi affari si è celebrato un processo alla Corte Suprema di Giustizia. Maurizio Macrì non aveva un programma di governo, ma un piano aziendale e numerosi conflitti d’interesse con suo padre, i suoi fratelli e le sue sorelle. Lo stesso accade oggi con Milei, che è sotto inchiesta per il lancio di una shit coin – che lui ha raccomandato e che in poche ore ha prodotto guadagni di centinaia di milioni di dollari ai ben informati – e per la richiesta di tangenti a farmacie affinché lo Stato acquistasse i loro prodotti. L’intermediario era sua sorella Karina, il che ha dato luogo a una rivisitazione della famosissima canzone cubana: invece di “Guajira Guantanamera”, ora cantiamo “Karina es alta coimera” (“Karina grande corruttrice”). Secondo l’indagine in corso, percepiva una commissione del 3%, cifra che qualcuno ha aggiunto al registro elettorale accanto al suo nome.