L'editoriale colto 91

Un grido s’avvicina, in cielo si vede una scia. Ed è già troppo tardi

di Thomas Pynchon

L’inizio de L’arcobaleno della gravità, con l’avvistamento di una V2, arma segreta e “definitiva” di Hitler, nei cieli d’Inghilterra, lo so praticamente a memoria. Mica per altro, il capolavoro di Thomas Pynchon lo ho iniziato almeno dieci volte, arrendendomi sempre attorno a pagina 100 (ne mancavano altre 870). Ma quelle prime pagine, quella scia luminosa nel cielo, quell’atroce curiosità di cosa si prova a trovarsi esattamente nel punto d’impatto… mi fan dire che appena possibile ci proverò per l’undicesima e definitiva volta.

E comunque: armi, armi e ancora armi. Sempre più letali, sempre meno empatiche, come ci insegna il grande John Keegan nel suo Il volto della battaglia: per aprire in due un cristiano con uno spadone ci vuole forza e fegato, ti tocca guardarlo negli occhi. Per dirigere un drone su una scuola di Kiev, un condominio di Odessa, un ospedale di Mariupol basta aver giocato qualche ora ai videogiochi e mancare quel che serve di immaginazione. Quindi discutiamo, con polarizzazioni e fratture un tempo inimmaginabili, di riarmo e di disarmo, qualcuno invitando a porgere l’altra guancia, qualcun altro interrogandosi se sia saggio disarmare da soli, avendo di fronte un omicida di giornalisti, formatosi alla scuola cecena e nostalgico di imperi e gulag d’altri tempi. I più fessi non coltivano né se né ma. I più saggi rischiano l’afasia dei dubbiosi.

Da L’arcobaleno della gravità, Rizzoli 1999, traduzione di Giuseppe Natale

Un grido s’avvicina, attraversando il cielo. È già successo prima, però niente di paragonabile ad adesso. Ormai è troppo tardi. (…) Non c’è via d’uscita. L’unica cosa da fare è starsene giù distesi ad aspettare. Il grido sta ancora attraversando il cielo. Quando cadrà, verrà giù al buio, oppure porterà con sé la propria luce? E la luce verrà prima o dopo? (…) Sarà poi così? In lontananza, a est, nel cielo rosa, si è appena vista una scintilla luminosa. Una nuova stella, o qualcosa di altrettanto percettibile. Pirata si appoggia alla ringhiera per vedere meglio. Il punto luminoso è già diventato una breve linea bianca verticale. Sarà da qualche parte sopra il Mare del Nord… o forse ancora più lontano… sopra le banchise macchiate dalla luce fredda del sole… Che cosa poteva essere? Non s’era mai visto nulle del genere. Però Pirata dentro di sé sapeva benissimo cos’era. L’aveva visto in un filmato, non più di un paio di settimane prima… era una scia di condensazione. Era già cresciuta più di un dito. Però non era la scia di un aereo. Gli aerei non decollano in verticale. Si trattava del nuovo missile a razzo tedesco, ancora top secret. «Posta in arrivo.» Ha veramente sussurrato quelle parole, oppure le ha solo pensate? Pirata si stringe la cintura sbrindellata della vestaglia. Ebbene, si ritiene che questi ordigni abbiano una gittata superiore ai trecento chilometri. Però non si può mica vedere una scia di condensazione a trecento chilometri di distanza, no? Eh, eh… invece sì: più in là, a est, dove curva la Terra, il sole è appena sorto sopra l’Olanda, i suoi raggi illuminano i gas di scarico del razzo, una pioggia di gocce e di cristalli che sfavillano nitidi oltre il mare… La linea bianca smette all’improvviso di salire. Probabilmente si tratta dell’arresto dell’alimentazione, della fine della combustione… Qual è il termine esatto che usano i tedeschi? … Brennschluss. La parte inferiore della linea, la stella originaria, ha già cominciato a svanire nella luce rossastra dell’alba. Il razzo però arriverà prima che Pirata possa veder sorgere il sole. (…) Esce di nuovo fuori, nel gelo invernale. La scia di condensazione in cielo è sparita. Si accende con calma una sigaretta. Non lo sentirà arrivare. Supera la velocità del suono. Prima si avverte l’esplosione, poi, sempre che uno sia ancora vivo, lo si sente arrivare. E se dovesse cadere proprio sopra… oh, no… per una frazione di secondo uno ne sentirebbe la punta, su cui grava quella massa terribile, colpirlo sulla sommità del cranio…

A cura di Paolo Soraci

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