Andrew Huston. Un americano a Venezia, passando per Bisanzio

Andrew Huston. Un americano a Venezia, passando per Bisanzio

Un pittore nomade approdato in laguna dopo l'immersione nell'astrattismo di New York. Capace di far toccare mondi apparentemente lontani

di Gabriele Miccichè

Un artista americano a Venezia. Lo incontro nel suo luminoso studio nell’isola della Giudecca. Uno studio pieno di oggetti, di bei quadri ma anche di una poltrona e comode sedie dove chiacchierare con piacere. Si chiama Andrew Huston e vive a Venezia dal 2017. «Ma io non sono americano. Mio padre lo è, mentre mia madre è australiana, io sono nato a Londra». Parla un italiano molto corretto e ricco con la bella pronuncia anglosassone. Scusa, ma tu quante vite hai avuto? Sorride e mi spiega paziente. «Dal 1986 al 1990 ho vissuto a Parigi, dove ho ottenuto il diploma alla Parson School of Design. Qui ho scoperto l’arte, guardando quadri e collage di Henri Matisse. Mi sono detto “voglio fare lo stesso mestiere”».

Poi a Sidney dal 1990 al 1996, con il master in Pittura al Sydney College of Arts. «Ma la mia attività artistica vera e propria è cominciata in modo più articolato quando mi sono trasferito a New York, per vent’anni, fino al 2017. Poi Venezia». Quando la moglie, Karole Vail, è stata nominata direttrice della Collezione Peggy Guggenheim. Impressionante, dopo Parigi e un tour che ha toccato forse le più importanti realtà del mondo anglosassone. A New York non è stato soltanto un artista, ma anche un curatore, collaborando con diversi artisti e creando dei gruppi di lavoro collettivi sfociati in mostre importanti come Oysters with Lemon (Ostriche e limone) e www.duccio.com entrambe a Brooklyn nel 2008. Nello stesso anno ha esposto nel prestigioso spazio PS1MoMA.

Da quando è in Italia ha lavorato con gallerie, una mostra a Venezia nel 2022, e quest’anno a partecipato a un interessante progetto curato dal critico Mario Codognato che ha coinvolto sette artisti contemporanei in un suggestivo allestimento al Pio Monte della Misericordia, dove sono esposte Le sette opere di misericordia di Caravaggio e quadri del Seicento napoletano. Nell’occasione gli artisti hanno donato l’opera esposta, adesso accanto alle opere di Caravaggio e Giordano.

In un’intervista ti definisci un country man. Non si direbbe. «Invece sì. Abbiamo comprato una casa di pescatori nella Baia di Chesapeake. Pescatori di granchi, tra cui il famigerato granchio blu. La Baia si sviluppa tra Baltimora, Washington e la Virginia ed è… una grande laguna».

Molti metterebbero in evidenza la grande differenza tra le città in cui ha vissuto e Venezia. Lui invece ne apprezza soprattutto le analogie.

“Il monumento che più mi ha colpito è la Pala d’oro nella basilica di San Marco”

«È la mia madeleine. È la città che ha anche la marea bassa e quando questo succede mi ricorda l’atmosfera americana dell’Oceano Atlantico. Certo New York è tutto in tutto, ma Venezia è una città eccezionalmente aperta. È da qui che si vede tutto. A incantarmi sono soprattutto l’odore della marea, l’odore della laguna». Un fatto di memoria? «Certo, però… c’è anche un’atmosfera molto pacifista e questo per un americano è molto importante». Il padre di Huston è stato un militare.

Poi c’è anche la scoperta dell’arte veneziana. Mi pare notevole che l’artista abbia sì incontrato i grandi pittori del Rinascimento veneto – «soprattutto Giorgione, mi ha stregato» – ma l’aspetto che lo ha coinvolto di più è stato quello dell’apertura della città, anche in tempi più remoti, a mondi culturalmente diversi. Bisanzio per esempio. «È qui che ho scoperto la bellezza, anche l’importanza, delle icone. E poi l’arte del mosaico. Ma forse il monumento che mi ha colpito di più è la Pala d’Oro nella Basilica di San Marco».

L’oro è molto presente un po’ in tutte le sue opere. Nel suo studio, una croce bizantina

È uno dei monumenti simbolo della città. Si trova dietro l’altare maggiore ed è rimasta nella sua originale posizione. Riunisce circa 250 smalti cloisonné su lamina d’argento fortemente dorata di dimensioni ed epoche diverse (X-XII secolo), realizzata a Bisanzio su committenza veneziana. La cornice in argento dorato fu realizzata a Venezia nel XIV secolo. È un tripudio di pittura, oro, argento, perle, oggetti preziosi ed è indubbiamente una chiave fondamentale per leggere il ruolo che in quei secoli giocava Venezia nel Mediterraneo e nel Vicino Oriente.

Di questo Huston si è fatto consapevole grazie alla sensibilità poetica dell’artista. Le icone, i mosaici, la Pala d’Oro sono testimonianza di quell’apertura di cui si parlava. Ed è significativo che questa sensibilità l’artista l’abbia provata con la sua madeleine, quelle maree che muovono la laguna come la Chesapeak Bay, che hanno reso consapevole Huston che è il mare la chiave per capire Venezia, la sua arte, la sua vocazione, i suoi palazzi, la sua forma più interiore.

Questa scoperta si riproduce notevolmente nella sua arte soprattutto grazie all’uso della foglia d’oro come momento pittorico di massima tensione. Nello studio si trova una grande croce bizantina dorata, palese omaggio a Malevic che realizzò le sue croci ortodosse (analoghe a quelle dell’ambiente bizantino) prevalentemente in un austero color nero. Ma l’oro è molto presente un po’ in tutte le sue opere. Magari in frammenti, in piccoli lacerti presenti nella maggioranza della sua pittura. L’oro che per mosaicisti e pittori di icone a Venezia, come a Roma e Palermo, era il colore del cielo su cui incastonare pantocratori, santi e profeti.

L’artista fa molto uso anche del blu in diverse sfumature. E questo dà un’interessante continuità linguistica al suo lavoro: fu con Giotto che l’azzurro fece il suo ingresso – realistico – negli affreschi di Assisi e della Cappella degli Scrovegni di Padova. Soltanto un secolo dopo la fine della realizzazione della Pala d’Oro. Ma tutto stava cambiando nella crescita della pittura italiana, non soltanto il colore del cielo. E di questo l’artista americano sembra interpretare una continuità, e una sua rottura, intima ed estetica.

«Nella mia ricerca, l’arte che mi ha appassionato di più è quella di Bisanzio, un’arte che esprime una forma più diretta, emozionale. Non c’è momento, solo emozione». Perché l’arte di Huston è un’arte comunque potentemente astratta. Un modo di dipingere che si è strutturato negli anni newyorkesi. A parte le tue esperienze dirette, chi sono gli artisti che ti hanno influenzato maggiormente? «Negli anni in cui ho vissuto a New York, la lingua dell’astrattismo era una lingua molto potente. Gli artisti che la esprimevano hanno avuto un’influenza molto forte sulla mia arte, soprattutto Peter Halley, Hellsworth Kelly e, molto importante per me, Robert Ryman». Sono artisti che hanno sviluppato una poetica che ha sempre oscillato tra Concettualismo e Minimalismo. Halley è nato a New York nel 1953, Kelly e Ryman vi sono morti rispettivamente nel 2015 e nel 2019. «E poi l’arte veneziana. Le icone, il mosaico, la Pala d’Oro. E Giorgione naturalmente». Insomma, giro del mondo destinazione Venezia (e Bisanzio).

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