Ilaria Salis sarà finalmente scarcerata. Tre giudici ungheresi le hanno concesso gli arresti domiciliari, che l’attivista antifascista dovrà trascorrere in un appartamento a Budapest, dopo il pagamento di una cauzione di 40mila euro e l’applicazione del braccialetto elettronico. La decisione, stando alle parole dei magistrati, si deve all’assenza del rischio fuga, alla disponibilità a collaborare sui termini della custodia e alla buona condotta tenuta in carcere in questi 16 lunghi mesi di detenzione. Condizioni, a dire il vero, che erano già presenti il 28 marzo, quando il giudice Jozsef Sos rigettò l’istanza per i domiciliari presentata dagli avvocati di Salis senza nemmeno ritirarsi in camera di consiglio.

Ilaria non tornerà ancora in Italia, né tantomeno si tratta di una liberazione. Continua a rischiare una condanna a 20 anni di carcere. Non lo dobbiamo dimenticare. Ma la notizia arrivata dall’Ungheria è di quelle buone, che ti fanno sorridere. È un successo. Parziale, ma pur sempre un successo. E, infatti, così lo considerano praticamente tutti gli attori politici e mediatici italiani. Che, però, un secondo dopo si dividono sulle ragioni.

C’è chi sostiene che l’ottenimento degli arresti domiciliari sia dovuto alla mobilitazione popolare, al fatto che la questione sia diventata caso politico e non solo giudiziario. Il padre di Ilaria, Roberto Salis, intervistato dal Corriere della Sera, ad esempio afferma: “Penso abbia pesato moltissimo la forte mobilitazione popolare in Italia, l’attenzione dell’opinione pubblica su una vicenda che appare assurda da qualunque lato la si voglia guardare, averla fatta diventare un fatto mediatico. Anche con la candidatura alle europee”. Esulta anche Alleanza Verdi Sinistra che l’ha candidata alle prossime europee, nei collegi Nord-Ovest e Isole: “alzare la voce serve”.

Sul ruolo del governo, Roberto Salis, aggiunge: “Non ho dei sassolini nelle scarpe, ma della ghiaia grossa, […] ho i piedi insanguinati. I cittadini italiani sono stufi di dover implorare le istituzioni di agire, le istituzioni sono al servizio dei cittadini. Paghiamo il ministro della Giustizia e degli Esteri per lavorare per noi, non abbiamo visto nessuna attività concreta per risolvere il problema di Iaria da parte di questi due ministeri”.

Al contrario, l’ultradestra politica e mediatica italiana sostiene che se si è arrivati a questo risultato lo si deve solo al sotterraneo lavoro della diplomazia. Il ministro degli Esteri Tajani: “È la prova che quando si lavora sottotraccia, e non suonano i tamburi, i risultati arrivano”. Indicativo anche il titolo del Foglio: “La strategia del silenzio scarcera Salis. Altro che la candidatura alle elezioni europee. La militante di sinistra ottiene i domiciliari in Ungheria grazie a un lavoro diplomatico che è stato continuamente messo a rischio dalla politicizzazione del caso”.

Sono due tesi opposte. Inconciliabili. Dalle enormi implicazioni. Fosse vera la prima, infatti, significherebbe che la mobilitazione, la protesta servono eccome. Altro che quella frase di apparente buon senso che si sente ripetere di continuo ogni attivista, qualunque sia la trincea della sua lotta: “tanto non serve a niente”. Così i domiciliari a Ilaria Salis dimostrerebbero che la mobilitazione popolare serve, perché incide sui processi decisionali e può portare ad aprire spazi di possibilità laddove prima non se ne scorgevano.

Fosse vera la seconda, invece, significherebbe che la virtù che dobbiamo acquisire è in primis la pazienza. Dobbiamo essere pazienti perché politica e istituzioni sono al nostro servizio e agiscono nel nostro interesse. È una tesi prodromica alla passivizzazione delle masse. La loro azione autonoma, infatti, danneggia. “Lasciar fare” le istituzioni – quelli che sanno e che hanno potere – aiuta.

Chi ha ragione? Se ci limitiamo a leggere dichiarazioni e titoli non andiamo lontani. A farci propendere per la prima o per la seconda sarà l’impostazione ideologica pregressa. Ciò che manca, infatti, sono i fatti. Ce ne sono che aiutano a capire i perché della decisione dei giudici ungheresi? Per fortuna qualcosa l’abbiamo.

Parto dalla decisione in sé. Se i giudici hanno concesso finalmente i domiciliari a Ilaria Salis, dopo averglieli rifiutati lo scorso 28 marzo in presenza delle medesime condizioni giuridiche, vuol dire che la mobilitazione popolare e la politicizzazione del caso non hanno fatto tutti questi danni che l’ultradestra paventa nelle parole dei suoi esponenti politici e nelle colonne dei suoi giornalisti.

C’è poi un’informativa dell’ambasciata ungherese in Italia al governo di Budapest. L’ambasciatore Adam Kovacs, stretto sodale di Orbàn, una settimana prima del pronunciamento dei giudici ha inviato a Budapest un dossier sul caso Salis: un malloppo di articoli di giornale, di scritti sul web con cui Kovacs fa presente a Viktor Orbàn che questa storia sta diventando un boomerang per il governo ungherese. Che la vicenda è ormai vicenda politica, prima ancora che giudiziaria, con tanto di danno d’immagine per l’Ungheria (e, chissà, anche per i suoi fan, a partire da Meloni & Co.).

Un bel tempismo, non c’è che dire. Che dimostra che, per quanto il potere costituito si sforzi di spingerci tutti a rimanere nel privato delle nostre abitazioni (per chi ce le ha), la verità della storia ci dice che la mobilitazione popolare è l’attore chiave capace di cambiare il corso delle nostre vite.

P.S.: Fa specie che nessuno – o quasi – si appelli all’indipendenza della magistratura. Probabilmente perché in molti considerano l’Ungheria una “democratura” in cui la divisione dei poteri non è più garantita. Tuttavia, la verità è che il potere giudiziario, per quanto formalmente indipendente, è pur sempre inserito in una realtà ambientale e sociale che ne condiziona le decisioni. Per questo, in realtà, mobilitarsi serve sempre. Perché anche le decisioni della magistratura sono figlie dei tempi che viviamo.

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