Se negli ultimi trent’anni in Europa il numero dei giorni di caldo estremo è aumentato del 41% e le morti legate alle alte temperature del 9%, nei Paesi dell’Europa meridionale il dato sui decessi sale all’11% in più, considerando il periodo che va dal 1990 al 2022. L’autorevole rivista scientifica The Lancet Public Health pubblica The Lancet on Health and Climate Change (seconda parte del Lancet Countdown in Europe) nel quale vengono analizzati 42 indicatori in cinque ambiti che evidenziano gli impatti negativi del cambiamento climatico sulla salute umana, il ritardo nell’azione climatica dei paesi europei e le opportunità mancate.

Nel 2021, l’insicurezza alimentare, moderata o grave, ha colpito quasi 60 milioni di persone in Europa, ma per 11,9 milioni di esse, l’insicurezza è attribuibile proprio a un numero maggiore di giorni di ondate di calore e di mesi di siccità. Nel 2022, le perdite economiche dovute a eventi estremi legati al clima sono stata stimate in 18,7 miliardi di euro e il 44,2% di queste (8,2 miliardi di euro) non erano assicurate. Nel frattempo, le politiche verso i sistemi energetici a zero emissioni rimangono “tristemente inadeguate”: la traiettoria attuale stima che questo obiettivo in Europa sarà raggiunto entro il 2100.

Gli impatti del cambiamento climatico sulla salute – Questo secondo è stato condotto dal Barcelona Supercomputing Center-Centro Nacional de Supercomputación, in collaborazione con il Barcelona Institute for Global Health e altre 40 istituzioni in tutta Europa. I risultati mostrano che gli impatti negativi dei cambiamenti climatici sulla salute sono sempre più forti: i decessi legati al caldo sono aumentati in gran parte dell’Europa e, in media, si parla di 17 morti in più ogni 100mila abitanti tra il 2003-2012 e il 2013-2022. Di fatto, le ore a rischio anche per l’attività fisica sono aumentate tra il 1990 e il 2022 sia per le attività considerate “medie”, come ciclismo o calcio, sia per quelle più faticose, come il rugby o la mountain bike. Il rischio è quello di una riduzione dell’attività fisica, con conseguenze comunque dannose per la salute.

Il clima europeo, inoltre, è sempre più ‘accogliente’ per vari agenti patogeni e vettori di malattie sensibili al clima: dal Vibrio, virus del Nilo occidentale, alla febbre dengue, dalla chikungunya all’infezione da virus Zika, e ancora malaria, leishmaniosi e zecche, che diffondono la malattia di Lyme e altre malattie trasmesse dalle zecche. “Il cambiamento climatico sta già causando danni alla vita e alla salute delle persone in tutta Europa”, afferma Rachel Lowe, direttrice di Lancet Countdown in Europe, a capo del gruppo Global Health Resilience presso il Barcelona Supercomputing Center. “Il nostro rapporto – aggiunge – fornisce prove dell’allarmante aumento degli impatti sanitari legati al clima in tutta Europa, tra cui la mortalità dovuta al caldo, le malattie infettive emergenti e l’insicurezza alimentare e idrica”.

Una questione di disuguaglianze – L’analisi evidenzia anche che gli impatti sulla salute sono distribuiti in modo non uniforme, spesso riflettendo modelli di sviluppo socioeconomico, emarginazione e disuguaglianza. “La mortalità correlata al caldo è due volte più alta nelle donne rispetto agli uomini, le famiglie a basso reddito hanno una probabilità sostanzialmente più alta di sperimentare insicurezza alimentare, i decessi attribuibili a una dieta sbilanciata sono più alti tra le donne e l’esposizione agli incendi è più alta nelle aree altamente svantaggiate” spiegano gli autori.

In questo contesto, l’Europa meridionale tende ad essere maggiormente colpita da malattie legate a caldo, incendi, insicurezza alimentare, siccità, malattie trasmesse dalle zanzare e leishmaniosi. Al contrario, il Nord Europa è colpito in misura uguale o maggiore dal Vibrio e dalle zecche, che possono diffondere malattie come quella di Lyme e l’encefalite da zecche. E nonostante il cambiamento climatico aumenti le disuguaglianze sanitarie esistenti, il rapporto mostra uno scarso impegno verso gli aspetti di uguaglianza, equità o giustizia nella ricerca, nelle politiche e nei media.

La mancanza di azione politica – Evidente, in generale, una mancanza di azione politica per proteggere i cittadini. Molti paesi europei continuano a contribuire in modo significativo alle emissioni di gas serra e continuano a fornire sussidi per i combustibili fossili. Nel 2021, in Europa le emissioni derivanti dalla combustione di combustibili fossili ammontavano a 5,4 tonnellate di CO2 pro capite, sei volte quelle dell’Africa e quasi tre volte quelle dell’America centrale e meridionale. Molti paesi europei, inoltre, “esternalizzano altrove le pressioni ambientali, con emissioni di CO2 e PM2,5 basate sui consumi che superano le emissioni basate sulla produzione” scrivono gli autori.

Di fatto, nel periodo 2005-2020, i decessi attribuibili all’inquinamento atmosferico da Pm 2,5 dovuti alla combustione di combustibili fossili sono diminuiti del 59% in Europa, ma in gran parte questo è dovuto alle tecnologie di controllo dell’inquinamento atmosferico e non alle emissioni di gas serra. La mancata adozione di azioni decisive potrebbe aumentare gli attuali impatti dei cambiamenti climatici. “Sentiamo già il costo di un’azione ritardata – conclude Rachel Lowe – ma conosciamo anche i benefici che potremmo ottenere dall’eliminazione graduale dei combustibili fossili e dei percorsi per arrivarci”.

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