Ha trascorso oltre due anni e tre mesi in custodia cautelare ai domiciliari con accuse pesantissime: aver violentato due ragazzine di 16 e 15 anni e aver conservato sul cellulare video hard ritraenti minorenni. Ora, a più di cinque anni dall’arresto, la Corte d’Appello ha confermato la sua totale assoluzione, riconoscendo che si è trattato di un clamoroso scambio di persona. Protagonista della vicenda giudiziaria è Ignazio Majolino, 52enne bidello di Palermo imputato di violenza sessuale aggravata e detenzione di materiale pedopornografico: la mattina del 19 aprile del 2019, l’uomo, praticamente incensurato (a suo carico solo un piccolo precedente per violazione della normativa sugli oli minerali) era stato fermato in presunta flagranza dai Carabinieri nelle vicinanze dell’istituto odontotecnico “Ascione”, mezz’ora dopo che due studentesse avevano denunciato di essere state afferrate per il collo, gettate a terra e palpeggiate mentre si dirigevano a scuola.

Secondo i militari, la figura di Majolino “rispecchiava perfettamente” la descrizione dell’aggressore fatta delle vittime: nel verbale di arresto, inoltre, si dava atto che le due ragazze avevano riconosciuto il bidello in caserma, individuandolo specificamente tra altre persone. La circostanza, in base alla quale era stata disposta la custodia cautelare ai domiciliari, era però stata smentita già in fase di incidente probatorio (l’assunzione di una prova svolta durante le indagini), quando le giovani, sentite dal gip, raccontavano che i carabinieri avevano mostrato loro la fotografia di Majolino in macchina, di fronte al cancello della scuola, per poi fare avvicinare l’arrestato e indicarglielo chiedendo conferma: in caserma, invece, era stata soltanto formalizzata la denuncia.

Decisive per far riconoscere l’errore giudiziario, però, sono state anche le indagini svolte dal legale dell’imputato, Gioacchino Genchi – già super-poliziotto informatico e consulente di varie Procure – e dal consulente tecnico Danilo Spallino. Analizzando il traffico telefonico e telematico del suo smartphone, la difesa è riuscita a dimostrare che Majolino si trovava senza dubbio a casa all’orario in cui era avvenuta la violenza: dal dispositivo, infatti, erano stati inviati messaggi ed erano state usate varie applicazioni collegandosi alla rete wi-fi domestica. Tutti dati, denuncia Genchi, “che il consulente del pm ha cancellato e non ha depositato, come non ha depositato, dopo averla eseguita, la copia forense del cellulare dell’imputato”, da cui risultava come stesse chattando su Whatsapp con la madre tra le 7:30 e le 8:15, cioè nell’arco di tempo in cui le ragazze venivano aggredite.

La versione dell’accusa è stata giudicata inattendibile anche rispetto all’imputazione di detenzione di materiale pedopornografico, nello specifico otto file video rinvenuti sullo smartphone in una cartella che conteneva ben 547 filmati porno con protagonisti maggiorenni: secondo la sentenza di primo grado, ora confermata in Appello, “non può ritenersi raggiunta la prova in ordine ad una consapevole e volontaria detenzione” del materiale, anche perché il consulente della Procura non ha trovato traccia “della ricerca, della visualizzazione e/o della copia” di quegli specifici file. Secondo il difensore, la loro presenza sul dispositivo è “frutto di un procedimento di copia e incolla da parte di un amico di Majolino, in occasione di un intervento di ripristino del suo computer“. Il bidello era uscito dai domiciliari già dopo l’assoluzione in primo grado, emessa il 21 luglio 2021: ora il verdetto d’Appello lo scagiona in via probabilmente definitiva. La Procura generale, che aveva chiesto una condanna a sette anni, non dovrebbe infatti impugnare la sentenza in Cassazione.

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