“Il rischio di influenza aviaria H5N1 per le persone negli Stati Uniti è attualmente basso, ma i Cdc”, Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie, “si stanno preparando alla possibilità di un aumento del rischio per la salute umana”. È questo il primo messaggio del rapporto settimanale Morbidity and Mortality Weekly Report diffuso dall’ente statunitense, sull’epidemia di influenza aviaria ad alta patogenicità A H5N1 nelle mucche da latte di più stati americani e sul rilevamento di due casi umani. La notizia del secondo caso umano risale al 22 maggio.

“Il rischio attuale per la popolazione statunitense derivante dal virus A H5N1 è basso – ribadiscono i Cdc nel rapporto – Tuttavia, le persone esposte ad animali infetti o materiali contaminati, compreso il latte vaccino crudo, corrono un rischio maggiore e dovrebbero prendere precauzioni e automonitorarsi per la malattia. Un approccio ‘One Health’ (uomo, animale e ambiente) è fondamentale per prepararsi a circostanze che potrebbero aumentare il rischio per la salute umana“.

Il secondo contagiato è stato un bracciante agricolo del Michigan. Secondo i funzionari sanitari, il paziente ha manifestato sintomi lievi. Si ritiene che la persona sia stata in contatto con bestiame infetto. A fine marzo, un contadino del Texas ha ricevuto la stessa diagnosi in circostanze analoghe.

Le autorità hanno dichiarato che questo è il primo caso noto a livello mondiale di trasmissione di questa variante dell’influenza aviaria da un mammifero a un essere umano. Anche questo paziente è stato trattato con un farmaco antivirale e ha riportato un’infiammazione agli occhi. Dal 2020, il virus dell’influenza aviaria ha iniziato a diffondersi tra altre specie animali, inclusi cani, gatti, puzzole, orsi, e perfino foche e focene, in diversi Paesi.

Da quando, nell’aprile 2024 – ricordano i Cdc – l’infezione da virus A/H5N1 è stata rilevata in un lavoratore agricolo statunitense in Texas durante un’epidemia in corso in più stati nelle mucche da latte, il livello di attenzione è cresciuto. Al 22 maggio, più di 350 persone esposte a mucche da latte e/o a latte vaccino crudo (non pastorizzato) infetto sono state monitorate, ed è stato segnalato dal Dipartimento della salute e dei servizi umani del Michigan un secondo caso umano di virus A (H5) con congiuntivite, identificato proprio attraverso il monitoraggio quotidiano dei lavoratori agricoli.

Sebbene i virus A/H5N1 attualmente circolanti non abbiano la capacità di diffondersi facilmente nell’uomo e da uomo a uomo, è possibile – evidenziano i Cdc – che questi patogeni “possano mutare in modo da riuscire a infettare facilmente le persone e diffondersi efficacemente tra loro, potenzialmente provocando una pandemia. Pertanto, una sorveglianza e un’indagine complete a livello mondiale su ogni nuovo caso di influenza A negli esseri umani sono essenziali per prepararsi a qualsiasi sviluppo che aumenti il rischio per la salute umana”.

Sono in corso sforzi per migliorare le attività di sorveglianza durante la primavera e l’estate, annunciano ancora i Cdc. Tali sforzi includono l’aumento del numero di campioni di test positivi all’influenza A disponibili per ulteriori test; sorveglianza continua per i ricoveri associati all’influenza confermati in laboratorio; incoraggiare i medici a prendere in considerazione l’influenza A/H5N1 quando valutano i pazienti che presentano congiuntivite o malattie respiratorie a seguito di un’esposizione rilevante, come la partecipazione a una fiera agricola.

“Le persone esposte ad animali infetti o materiali contaminati, compreso il latte vaccino non pastorizzato (crudo), corrono un rischio maggiore di infezione da virus A/H5N1 e dovrebbero adottare le precauzioni raccomandate, compreso l’uso di dispositivi di protezione individuale, l’automonitoraggio dei sintomi della malattia e, se sintomatici, richiedere una tempestiva valutazione medica per il test dell’influenza e il trattamento antivirale se indicato”, raccomandano i Cdc, che stanno conducendo una sorveglianza rafforzata e una pianificazione delle indagini epidemiologiche; valutando i test di laboratorio, i vaccini e i trattamenti antivirali esistenti, e sostenendo gli Stati nel monitoraggio delle persone esposte all’infezione.

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