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Dopo premierato, autonomia differenziata e separazione delle carriere, addio democrazia

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L’Italia dell’immediato Secondo Dopoguerra, con la sua “industria pubblica” in “proprietà pubblica demaniale” del Popolo (si pensi all’Iri, con le sue mille Aziende pubbliche, all’Eni, all’Enel, all’Ina, ecc.), costituenti il 70 per cento della ricchezza nazionale, aveva raggiunto valori da primato; il reddito pubblico cresceva in media del 6,5 per cento e l’Italia era diventata, nel 1990, la quarta potenza mondiale, dopo Stati Uniti, Giappone e Germania.

Ciò istigò la preoccupazione e l’aggressività dei potentati economico finanziari, che dettero man forte a quei “partiti padronali” nostrani, i quali, grazie alla diffusione del pensiero dominante del “neoliberismo” e alla “globalizzazione” dei mercati, non ebbero difficoltà nel procedere alla incostituzionale e dannosissima “privatizzazione” (in pratica “svendita”) del nostro “patrimonio pubblico industriale”, trasformando la nostra “economia mista”, pubblico – privato, in una economia quasi esclusivamente “privata”, nella quale dominano le multinazionali e vien meno la tutela e la sicurezza del lavoro, come hanno dimostrato le continue e molteplici morti bianche e l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

Ci troviamo oggi di fronte all’ulteriore e definitivo passo del nostro governo, il quale, con tre provvedimenti tra loro collegati, sta per distruggere la nostra “Costituzione” repubblicana e democratica e per cambiare il nostro “Stato comunità” in uno “Stato autocratico”, che disconosce il “principio fondamentale” dell’ “eguaglianza economica e sociale”. Si tratta dell’approvazione già in corso del disegno di legge sulle “autonomie differenziate”, che distrugge l’Unità d’Italia, e del disegno di legge sul cosiddetto “premierato”, secondo il quale i cittadini votano, non solo il nominativo del candidato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ma anche il “programma di governo” che l’Esecutivo dovrà attuare durante la legislatura, pena lo scioglimento delle Camere.

E tale “programma” (qui sta l’imbroglio) è formulato dai proponenti della lista prima delle elezioni e fuori del Parlamento, sicché esso è sottratto alla “dialettica parlamentare”, cioè alle critiche dell’’ “opposizione”. Insomma sono messi fuori gioco, sia i “diritti fondamentali” di “tutti” i cittadini di “concorrere a determinare la politica nazionale” mediante i propri rappresentanti parlamentari, sia la fondamentale funzione del Parlamento, che è quella di “approvare” le leggi, nell’ “interesse generale” di tutti, e non quella di “eseguire” un programma formulato dai pochi presentatori di una lista.

In sostanza, questa inammissibile modifica della Costituzione (che, peraltro, distruggendo i “principi fondamentali” non può essere considerata una “revisione costituzionale”) ci pone di fronte a una situazione paradossale nella quale tutto è affidato all’”Esecutivo”, eliminandosi l’ “essenza”, cioè la “ragione di esistere,” del potere Legislativo. Cosa che non esiste in nessuna parte del mondo ed è stata pensata solo da quei soggetti ai quali la Meloni ha improvvidamente affidato le sorti della nostra Italia.

Il terzo provvedimento è stato solo recentemente annunciato dal Consiglio dei Ministri: si tratta della separazione della carriera dei giudici inquirenti da quella dei giudici giudicanti. In tal modo assai semplice sarà la sottoposizione dei Pubblici Ministeri alla volontà dell’esecutivo.

E così il gioco è fatto. Addio alla democrazia. Addio alla libertà, all’eguaglianza e alla solidarietà. Addio, in ultima analisi, “al ricorso alla coscienza del Giudice”, ricordato dal Calamandrei. E si tenga presente che il governo attualmente in carica ha già dimostrato, con le limitazioni alle manifestazioni pubbliche e alla libertà di stampa, che per esso la parola “governare” non significa perseguire gli interessi generali di tutti, ma “comandare”, cioè sottoporre tutti a una suprema volontà.

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