Falcone e Borsellino sono due giganti, due eroi, due monumenti dal punto di vista etico e morale. Sono l’orgoglio della storia italiana e rappresentano dei modelli da seguire e imitare. Da vivi sono stati combattuti anche dalla stessa magistratura. Io sono testimone oculare del fatto che da vivo Borsellino veniva ingiuriato dai colleghi che lo chiamavano ‘fascista’ o che ridevano di lui e di Falcone, come se fossero dei marziani da non prendere sul serio. Dopo che sono stati uccisi, quegli stessi Gattopardi sono saliti sui palchi a osannarli. Tutto questo è triste e brutto, perché i morti non si possono difendere. Però dobbiamo essere noi a tenere alta la memoria di questi grandi uomini.”. Sono le parole del procuratore di Napoli Nicola Gratteri, intervistato da Daniele Grassucci e Carla Ardizzone nella trasmissione online #MeetZeta su skuola.net, a proposito della prossima giornata della memoria dedicata a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il 23 maggio.

Gratteri aggiunge alcuni toccanti ricordi personali dei due giudici: “Quando è stato ammazzato Falcone, ero al carcere di Bologna. A un certo punto si sono sentiti dei rumori perché i detenuti sbattevano delle pentole di alluminio contro le grate. Una volta salito in macchina, ho sentito la terribile notizia alla radio. Non me l’aspettavo, perché Falcone era fuori dalla prima linea e stava facendo un importantissimo lavoro al ministero della Giustizia. L’uccisione di Borsellino invece non fu una sorpresa, ce l’aspettavamo tutti – continua – anche lo stesso magistrato sapeva che aveva i giorni contati. E questa era la grandezza di Borsellino, perché, pur avendo la consapevolezza che sarebbe vissuto ancora poco, è rimasto lì a continuare a combattere fino all’ultima delle sue ore. Falcone e Borsellino erano diversissimi dal punto di vista caratteriale. Falcone era un tipo scherzoso e gioviale, e tendenzialmente di sinistra. Borsellino era tendenzialmente di destra. Ma andavano molto d’accordo perché avevano in comune la lotta alla mafia ed erano due persone oneste e perbene, avevano la stessa visione, la stessa intelligenza. Erano due visionari”.

Alla domanda su come si possa parlare di mafia ai giovani, il magistrato premette: “Parlare di mafia stanca chi ti ascolta. Ci sono molti non addetti ai lavori che si creano un pedigree e vanno in giro a parlare di mafia, senza avere una storia e un costrutto. E per giunta da parte loro ci capita di vedere dei comportamenti non proprio ortodossi. Quindi, parlare di mafia è una cosa molto seria, per essere credibili – sottolinea – non bisogna pensare all’antimafia con la partita Iva e non bisogna giocare sulla morte e sul sangue di gente che ha creduto nello Stato e nelle istituzioni, dai magistrati alle forze dell’ordine fino agli avvocati. Dobbiamo essere attenti e vigili e soprattutto non diventare complici di un certo modo di fare antimafia, perché la gente capisce e si allontana”.

E spiega: “Perché il parlare di mafia ai ragazzi non sia una perdita di tempo, bisogna essere credibili e aver fatto qualcosa nella vita. I ragazzi ti sgamano subito: non ti seguono più e dopo 3 minuti si mettono a giocare col telefonino. Devi quindi avere una storia e devi parlargli usando il loro linguaggio. Molte volte gente, anche preparata e colta, quando parla si piace, stando attenta a parlare forbito. Ma parla a se stessa, senza entrare nella pancia e nella testa dei ragazzi – prosegue – E allora dobbiamo intercettarli nei loro gusti, usi e consumi, parlando ad esempio di soldi. Quando io ero ragazzo, ascoltavo parole come ‘cultura’, ‘valori’, ‘etica’. Oggi tra i giovani questi termini sono desueti. Quindi, ai ragazzi devi parlare di telefonini, consumi, moda, soldi. Devi cioè spiegare quanto guadagna un panettiere e quanto intasca un corriere di cocaina, cosa rischia l’uno e cosa rischia l’altro. Queste sono le cose che interessano ai giovani: notizie pratiche e utili per la loro futura scelta di vita”.

E conclude: “Se tornassi indietro, non cambierei il lavoro di magistrato. Questo lavoro mi emoziona ancora, perché è bellissimo: la cosa più bella di questo mestiere è la libertà e l’indipendenza. Non hai bisogno di nessuno. Io quel che penso lo dico, anche se molte volte – chiosa ridendo – mi rendo conto che, mentre parlo, sto per peggiorare la mia carriera. Ma credetemi, non c’è cosa più bella di dire quello che si pensa: non ha prezzo, come recitava la pubblicità della carta di credito negli anni ’90”.

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