Le elezioni europee del prossimo giugno forniranno indicazioni importanti alle grandi famiglie politiche del Vecchio Continente, ma per alcuni si riveleranno foriere di bilanci dolorosi. L’alleanza progressista dei Socialisti e Democratici, principale formazione di centro-sinistra a livello comunitario, ha bisogno di un buon risultato per uscire dalla crisi che la attanaglia da diverso tempo, ma le difficoltà sperimentate in diversi Stati membri rischiano di rivelarsi difficili da superare. A pesare sono, tra le altre cose, il crollo in Germania, la scomparsa dei progressisti in Repubblica Ceca o l’irrilevanza del centrosinistra in Polonia, mentre la lieve ripresa in Francia e in Grecia è un segnale positivo ma non sufficiente a invertire la tendenza continentale. Tra le poche isole felici ci sono, invece, Danimarca e Spagna, ma anche il Portogallo, dove fino ad alcuni mesi fa i Socialisti erano al potere.

I Socialdemocratici danesi, guidati dalla premier Mette Frederiksen al potere dal 2019, sono al primo posto nelle intenzioni di voto riportate da Politico, hanno cinque punti di vantaggio sui rivali dell’Alleanza Liberale e alle consultazioni europee potrebbero ottenere il 24% dei voti. La popolarità del movimento è, paradossalmente, legata anche all’implementazione di politiche poco ortodosse per un partito socialdemocratico. Copenaghen è tra le più dure in Europa in ambito migratorio e nell’ultimo decennio ha assunto posizioni sempre più severe contro l’immigrazione. Tra queste si ricordano la legge, varata nel 2021 e criticata da Bruxelles, che consente di deportare in Paesi terzi i rifugiati, oppure la designazione di parti della Siria come sicure per non concedere protezione ai rifugiati di quella nazione.

Quest’ultima decisione è stata revocata in seguito alle reazioni internazionali ma è indicativa del clima che si respira nel Paese. Il cambiamento dei Socialdemocratici ha avuto inizio, come ricordato da Le Monde, dopo l’ennesima sconfitta elettorale del 2015 per riconquistare i propri ex sostenitori. I progressisti ammisero che l’appoggio alle generose politiche di accoglienza aveva danneggiato i lavoratori, che avevano dovuto sopportare il peso dell’immigrazione e dei fallimenti dell’integrazione oltre ad aver minato il welfare.

Passando alla Penisola Iberica, spicca la resilienza dei Socialisti spagnoli, alla guida di una coalizione di minoranza formata da movimenti regionalisti e separatisti, evidenziata da un recente sondaggio del Centro de Investigaciones Sociologicas. I progressisti sono accreditati del 38,6% delle preferenze elettorali contro il 29,2% dei rivali del Partito Popolare, mentre secondo altre rilevazioni il centrodestra è in prima posizione ma i Socialisti avrebbero intorno al 30% dei voti, uno dei risultati migliori d’Europa per il centrosinistra. L’esecutivo guidato da Pedro Sanchez si è contraddistinto per le politiche concilianti adottate nei confronti dei separatisti catalani che in cambio lo appoggiano a Madrid e può beneficiare del buon tasso di crescita fatto registrare dall’economia. Il primo ministro, che ha recentemente valutato le dimissioni dopo le accuse di corruzione (di cui è poi stata richiesta l’archiviazione) nei confronti della moglie, rimane una figura in grado di attrarre consenso.

In Portogallo i Socialisti possono ripartire dal 28% dei voti ottenuti alle elezioni parlamentari di marzo, un buon risultato se si tiene conto delle traversie sperimentate dal partito. Le dimissioni del primo ministro Antonio Costa, maturate lo scorso novembre in seguito a uno scandalo a cui era del tutto estraneo, hanno danneggiato il partito e lo hanno privato di un leader di primo piano. Costa, reduce da due successi elettorali e al potere dal 2015, era considerato uno degli esponenti più importanti del progressismo europeo ed era una figura popolare in patria. I progressisti hanno perso, di misura, le elezioni del 2024 affrontate con un nuovo leader ma non si è verificato un crollo di elettori. Il movimento può, quindi, ripartire da quanto costruito nelle ultime esperienze di governo per consolidare il proprio ruolo all’interno del consesso comunitario.

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