Il mare è una componente fondamentale nella storia di Aldo Spinelli, l’imprenditore di 84 anni arrestato nell’inchiesta che ha portato ai domiciliari il governatore della Liguria Giovanni Toti. Il mare di Palmi, la città calabrese dove Spinelli nasce da mamma Carmela e papà Roberto, nostromo che nell’Oceano Atlantico troverà la morte nel naufragio della Bonitas, quando aveva solo 42 anni. Il mare di Genoa, città che lo accoglie, che gli dà ricchezza con la sua attività di logistica (in particolare nei porti) e notorietà attraverso il calcio. Il mare di Livorno, altra città che lo vede impegnato sia con la sua attività di imprenditore sia di presidente di calcio. Il mare, questa volta solo metaforico, di cambiali in cui si ritrova giovanissimo. E per fortuna, come ha raccontato, ne firma “a pacchi” per rilevare l’Almea, una piccola azienda di trasporto con cui cominciò la sua attività imprenditoriale.

Il mare, si diceva, poi il colore giallo: quello del suo iconico impermeabile utilizzato allo stadio, che gli frutta il soprannome di “Giallone” a Livorno e quello dei camion della ditta di trasporto da cui inizia la sua attività imprenditoriale. Frutto di una scaramanzia quasi maniacale: i camion prima erano azzurri, “colore che evidentemente portava sfiga” racconterà Spinelli, che ripeterà lo schema anche nel calcio, sia con l’impermeabile che con le scarpette dei calciatori. Sì, come quando non voleva far giocare il bomber albanese del Livorno Bogdani proprio perché aveva scarpe azzurre: “Portano male, non giochi”. Non ci fu verso e Bogdani le cambiò. In controtendenza spesso: cresce a Sampierdarena ma tifa Genoa, e il Genoa lo compra pure nel 1985 quando era in B, portandolo in Serie A e arrivando alla semifinale di Coppa Uefa contro l’Ajax, passando per Anfield e battendo il Liverpool. Agli anni rossoblù Spinelli ascrive la principale follia commessa nella vita, ovvero l’aver rinunciato a 27 miliardi di lire offerti dall’allora presidente dell’Olympique Marsiglia, Bernard Tapie, per assicurarsi il centravanti cecoslovacco Thomas Skuhravy. Porta il primo calciatore giapponese in Italia: Kazu Miura, quando vorrebbe far fare il viaggio inverso a Skuhravy, accettando stavolta “solo” 12 miliardi , offerta poi ritirata dalla controparte.

Il Genoa lo lascia nel 1997, ma il calcio resta una passione, e allora all’inizio del 1999 compra il Livorno per cinque miliardi di lire. Porta in amaranto prima Igor Protti, poi Cristiano Lucarelli a suon di litigate telefoniche, e soprattutto porta la squadra toscana dalla Serie C alla Coppa Uefa del 2006/2007, arrivando ai sedicesimi di finale contro l’Espanyol. In mezzo ci sarebbe pure una parentesi alla guida dell’Alessandria, tuttavia non memorabile. E in mezzo c’è pure la politica, con l’esperienza da consigliere comunale tra le fila del Partito Socialista, quel Partito Socialista che pure entrò “in tackle” quando era presidente del Genoa, col leader Bettino Craxi, grande tifoso del Toro, che lo convoca nel suo ufficio intimandogli di cedere Pato Aguilera ai granata. Lascia il Livorno nel 2020, per dedicarsi esclusivamente alla sua attività imprenditoriale, dagli accordi con Amazon fino all’arresto di oggi.

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