Mentre prosegue l’indagine per determinare altre eventuali responsabilità delle figure operative nel carcere minorile Beccaria di Milano, tre agenti della polizia penitenziaria, arrestati il 22 aprile con accuse pesantissime per gli abusi sui giovanissimi detenuti, tornano ai domiciliari mentre altri dieci restano in carcere. È la decisione della giudice per le indagini preliminari di Milano, Stefania Donadeo, dopo gli interrogatori di garanzia che si sono tenuti nelle scorse due settimane nell’inchiesta sul “sistema” di torture, abusi e maltrattamenti aggravati sui detenuti minorenni che ha coinvolto quasi un poliziotto su due dell’Istituto penale minorile.

Secondo la gip, che in tre casi ha accolto le istanze delle difese di sostituire la misura della custodia cautelare in carcere con i domiciliari, “permangono sia i gravi indizi di colpevolezza che le esigenze cautelari che hanno imposto la misura cautelare custodiale” ma possono essere “soddisfatte con la misura meno afflittiva degli arresti domiciliari”. I tre agenti scarcerati del penitenziario di Bollate avranno il divieto di comunicare all’esterno, esclusi familiari e difensori, e potranno raggiungere le proprie abitazioni liberi e senza scorta. La violazione dei divieti li farebbe tornare in cella. Nelle prossime ore saranno depositate anche le decisioni sugli otto agenti del Beccaria sospesi dal servizio. Fra questi c’è l’ex comandante Francesco Ferone, indagato per falso nell’inchiesta delle pm Rosaria Stagnaro, Cecilia Vassena e Letizia Mannella, e accusato di aver “coperto le condotte violente”. Dal 7 maggio sono previste le prime due udienze davanti al tribunale del Riesame sui ricorsi presentati da alcuni indagati per chiedere l’annullamento dell’ordinanza che ha condotto agli arresti eseguiti dalla squadra mobile e Nucleo investigativo regionale della polizia penitenziaria.

La pratica “reiterata e sistematica, se pur ai danni di diversi minorenni, delle violenze inflitte ha determinato un clima generale di paura, di umiliazione, di vessazione ed anche di indifferenza nei confronti dei bisogni primari dei detenuti minorenni. Minorenni costretti a volte a subire i pestaggi, a volte ad assistere a quelli del compagno di cella, a volte ad udire urla di dolore. Ciò ha creato un clima infernale lontano dalla promessa costituzionale della funzione rieducativa della pena” aveva scritto la giudice nel provvedimento. “La pervicacia con cui gli indagati pongono in essere le proprie azioni delittuose non depone a favore di una loro imminente resipiscenza, bensì di una preoccupante recrudescenza delle medesime. Infatti, in più occasioni, e proprio quando loro già erano a conoscenza delle indagini in corso, hanno dato prova della loro inclinazione alla violenza e della loro volontà e capacità di essere sempre più feroci e crudeli verso le vittime prescelte che dovevano subire i loro sistemi educativi”.

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