Scontro pepato a Otto e mezzo (La7) tra il direttore de Il Fatto Quotidiano Marco Travaglio e il direttore responsabile di Libero Mario Sechi sulla discussa scelta strategica di Giorgia Meloni per le prossime elezioni europee.
La conduttrice Lilli Gruber chiede a Sechi chiarimenti sul suo recente editoriale: “Tu hai scritto che la maggioranza degli italiani, incluso qualcuno di sinistra, è rassicurata dal fatto che a Palazzo Chigi ci sia ‘una di loro’, cioè Giorgia. Io vorrei però ricordare che ‘Giorgia Meloni detta Giorgia’ è parlamentare da 18 anni, cioè da quando ha 29 anni. È stata vicepresidente della Camera e poi ministra. Da 10 anni è leader di un partito e da 18 mesi è presidente del Consiglio. È una del popolo?“.
“Assolutamente sì – risponde Sechi – Il problema non è la carica che rivesti ma è come la interpreti. Per il popolo del centrodestra Giorgia Meloni è Giorgia: lei ha un elemento popolare che altri non hanno. Si chiama leadership“.

Travaglio scoppia a ridere ma Sechi è fermo nella sua teoria: “Inoltre la politica contemporanea prevede che questa leadership abbia un contatto con il proprio elettorato. E infatti le altre candidature non sono altro che una conseguenza del fatto che c’è una politica carismatica“.
Il direttore di Libero poi attribuisce questa decisione tattica di Meloni al cambiamento della comunicazione politica contemporanea, che si fonda soprattutto sui social: “Questo riduce la distanza con l’elettorato, ecco perché Giorgia Meloni sceglie di farsi chiamare solo Giorgia”.
“Sì, ma perché si candida per un posto che non occuperà mai? – chiede Gruber – Ha ragione Marco Travaglio quando parla di truffa elettorale“.
“Non sono d’accordo – risponde Sechi – Oggi le candidature dei leader politici per le europee sono benvenute e auspicate dagli elettori“.
Travaglio non riesce a frenare la sua ilarità mentre Gruber insorge: “Ma in Europa non lo fa nessuno anche per rispetto nei confronti degli elettori”.
“In Europa non hanno i social”, commenta sarcasticamente il direttore del Fatto.

Sechi si difende: “Io parlo dello scenario italiano e quello analizzo. In Italia sanno tutti che le elezioni europee sono anche un sistema per misurare i consensi nel paese”.
Al cuore non si comanda – ironizza Travaglio – Se la Meloni avesse detto che non si candida perché è una truffa, Sechi sarebbe stato qui a dire che ha ragione e che non lo fa nessuno in Europa”.
“Non c’entra niente”, ripete più volte Sechi.
“La Meloni è una leader europea – continua il direttore del Fatto – e non fa come gli altri leader in Europa, visto che non si candida né Orban, né Sanchez, né Scholz, né Attal, né nessun altro premier. Eppure mi risulta che anche nel resto d’Europa abbiano i social. Semplicemente i leader europei sono molto più seri dei nostri. Non dico che siamo il terzo mondo per non offendere il terzo mondo, perché dubito che lì ci siano dei leader che si candidano a poltrone con cui sono incompatibili e che già sanno che non ricopriranno”.
“In Italia si fa così”, ribatte Sechi.

“Vorrei comunque rassicurarti – replica Travaglio – Quando non c’erano i social e c’era la tv in bianco e nero, i leader politici erano già chiamati per nome. Il popolo del Pci chiamava Enrico Berlinguer col solo nome ‘Enrico’ e a Berlinguer non è mai venuto in mente di dire ai suoi elettori: ‘Scrivete Enrico’“.
“Ma che c’entra?”, insorge Sechi.
Almirante veniva chiamato ‘Giorgio’ dai suoi elettori – prosegue Travaglio – ma non ha mai detto di scrivere solo il suo nome sulla scheda elettorale. Lo stesso è successo con Giulio Andreotti e oggi con Giuseppe Conte e con Elly Schlein. Non c’è nessuna particolarità della tua beniamina: è uguale a tutti gli altri. In America Biden è chiamato ‘Joe’ e Trump ‘Donald’, eppure sulla scheda scriveranno il loro nome e cognome per intero, altrimenti il voto è nullo. Hai capito?”.

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