Qualche anno fa esisteva una etichetta tra gli addetti ai lavori della musica ossia “il cantante del Concertone del Primo Maggio”. Una sottocategoria dove rientravano artisti da Caparezza ai Modena City Ramblers fino a Yo Yo Mundi a sottolineare quella frangia artistica più politicamente schierata e che non le mandava certo a dire. Dalla prima edizione dell’evento – promosso da CGIL, CISL e UIL – che si è tenuto il primo maggio 1990, in Piazza San Giovanni a Roma, molto è cambiato. Anzitutto dal punto di vista musicale e discografico. Alla fine le tensioni politiche ci sono sempre state, i movimenti di protesta anche. Ma quello che è cambiato è soprattutto il linguaggio della protesta: oggi ci sono i social, i meme, i video che riescono a penetrare nella Rete e a diffondere, in maniera ancora più capillare, un messaggio sociale e politico, ancor più che dal palco del Concertone.

Lontani i tempi di Elio e Le Storie Tese contro il governo Andreotti nel 1991 oppure di Daniele Silvestri che nel 2003, riferendosi alle tensioni tra Silvio Berlusconi e la magistratura, dichiarò: “Se c’è una guerra di cui vorrei parlare, è quella che il nostro governo sta dichiarando in questo momento alla magistratura italiana”. Da qui la decisione di trasmettere il concerto in differita di 20 minuti. Per concludere Vasco Rossi che donò il suo cachet di 100mila euro ai figli dei morti sul lavoro nel 2009. Nel frattempo è cambiato tutto.

Anche dal punto di vista organizzativo nel 2015 accade qualcosa di nuovo. Entra in gioco iCompany con la direzione artistica di Massimo Bonelli che cerca di prestare occhi e orecchie alle tendenze musicali del momento. Il suo obbiettivo, poi centrato, è stato quello di portare le nuove generazioni al Concertone e cavalcare l’onda dei successi provenienti anche da altre manifestazioni musicali, su tutti il Festival di Sanremo, specie quello targato Amadeus. Via via il Concertone ha abbandonato la nome della “cenerentola della musica” per offrire un cast contemporaneo e soprattutto lanciare messaggi inclusivi che riguardassero la violenza sulle donne, le diseguaglianze nella società e nel lavoro, la differenza di genere, insomma tutti temi condivisibili che hanno costantemente bisogno di una luce.

Poi ci sono le dovute eccezioni in cui l’evento si intreccia con la politica ed è il caso della famosa diatriba tra Fedez e la Rai nel 2021 per la censura del monologo del rapper contro l’esponente della Lega, Andrea Ostellari, che aveva bloccato l’approvazione del ddl Zan contro l’omofobia. “Mi assumo tutte le responsabilità di ciò che dico e faccio. – aveva dichiarato Fedez – Sapendo che il contenuto di questo intervento è stato definito dalla vicedirettrice inopportuno”. Da quel momento il caos.

Ma è stata solo una piccola eccezione. Oggi gli artisti si espongono, certamente, su temi importanti, non ultimo Ghali sul palco di Sanremo 2024 sulla guerra Palestina-Israele, ma decidono loro quando e come farlo. Se condividerlo sui social o attraverso una intervista mirata. Difficilmente si usa un palco e una diretta televisiva per fare proclami. Cambiano le generazioni, cambia il percepito sulla politica e non è un caso se l’astensionismo, durante le elezioni, è sempre più radicato nel nostro Paese. In fondo artisti di oggi sono solo lo specchio di questa generazione.

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