Gli scienziati sono in allerta da tempo e ricordano l’importanza di sorveglianza e monitoraggio per l’influenza aviaria che da settimane, forse mesi circola nei bovini da latte negli Stati Uniti. E alla domanda se il virus – che colpisce e uccide gli uccelli ma ormai ha messo nel mirino i mammiferi – possa innescare la prossima pandemia, la risposta è “fortemente possibile”.

“Grande preoccupazione” – Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia (Siv-Isv), in un’intervista all’Adnkronos Salute non usa mezzi termini sui timori suscitati dall’epidemia che cresce tra i bovini da latte negli Usa, a causa di un ceppo altamente patogeno di virus H5N1 ritrovato in frammenti anche nel latte pastorizzato in commercio Oltreoceano. Nella comunità scientifica “la preoccupazione è grande”, spiega l’esperto appena rientrato da Barcellona, dove ha partecipato al Congresso della Società europea di Microbiologia clinica e malattie infettive (Escmid). “Il passaggio dell’aviaria nei mammiferi e la circolazione in questi animali – avverte – è un passo avanti verso l’uomo”.

Al momento non è stata rilevata o segnalata una trasmissione umana, ma il contagio dei bovini potrebbe aiutare il virus a contagiare più facilmente l’uomo. Tra il 2003 e il 1 aprile 2024, l’Oms ha dichiarato di aver registrato un totale di 889 casi umani di influenza aviaria in 23 paesi, inclusi 463 decessi, portando il tasso di mortalità al 52%. Ancora incerto il contagio umano registrato negli Usa, non è stato ancora stabilito se l’uomo contagiato abbia contratto l’infezione da un bovino o da un uccello.

Il pericolo delle anatre selvatiche – Lo specialista, ordinario di Microbiologia e Microbiologia clinica all’università di Brescia e direttore del Laboratorio di microbiologia dell’Asst Spedali Civili, traccia un quadro “forse pessimistico ma purtroppo non dobbiamo mettere la testa sotto la sabbia. Bisogna invece essere realisti e prepararsi”. Pensando a una futura emergenza pandemica, sottolinea, “il virus aviario è l’unico che preoccupa realmente” per più di una ragione. Innanzitutto perché “è un virus influenzale che in quanto tale si trasmette per via aerea, la più efficace in termini di contagio”. Il patogeno, poi, è estremamente diffuso: “Lo stanno portando dappertutto le anatre selvatiche, che ormai vediamo anche nelle nostre città, nei nostri stagni, nei nostri corsi d’acqua”. E sta mutando: “Non solo l’H5N1 – precisa l’esperto – ma diversi ceppi di virus aviario si stanno modificando, a livello di più recettori di superficie, per potersi adattare all’uomo. Un salto sempre più facile, dopo che è passato ai mammiferi e tra i mammiferi circola”.

Siamo dunque di fronte “non a una aviaria, ma a più aviarie – puntualizza Caruso – che hanno fatto il loro ingresso nel mammifero e sono tutte potenzialmente pericolose per l’uomo. Preoccupano perché la circolazione nei mammiferi indica che il virus sta evolvendo in una direzione chiara: ha imboccato una strada che inevitabilmente, prima o poi – prospetta il presidente dei virologi italiani – porterà all’arrivo nell’uomo il quale potrà diventarne serbatoio e diffusore“.

“Necessaria sorveglianza stringente” – Arriveremo alla trasmissione del virus dell’influenza aviaria da uomo a uomo? “È inevitabile – risponde Caruso – che quando il virus entrerà più e più volte nell’uomo potrà assumere quella ‘fitness’, cioè quella capacità di adattamento alle cellule umane, che permetterà all’uomo di fare da reservoir e quindi da diffusore per altri uomini”. Al di là dei casi noti per esposizione, professionale o meno, ad animali infetti, “chissà quante volte l’uomo è già stato infettato, magari senza presentare sintomi importanti – ragiona il presidente Siv-Isv – Chissà quanti virus aviari stanno cercando di entrare nell’uomo e quante volte ci sono riusciti“. Pertanto, se è vero che ad oggi per il virus aviario il contagio uomo-uomo non è mai stato confermato, “non è detto che una trasmissione uomo-uomo non sia già possibile – osserva Caruso – o che quantomeno qualche ceppo non si sia già stabilizzato nell’uomo”. Insomma, “la situazione è veramente preoccupante ed esige una sorveglianza stringente sugli animali, non soltanto i volatili, sugli alimenti di origine animale consumati dall’uomo e sugli uomini stessi. È indispensabile farci trovare pronti, preparati a una nuova possibile futura pandemia”.

“È indispensabile una sorveglianza stringente, molto attenta e molto pronta”, contro l’influenza aviaria che sta dilagando fra i bovini da latte negli Usa e che la comunità scientifica guarda con timore per la possibilità “forte” che arrivi a causare la prossima pandemia. “Vanno monitorati non solo gli uccelli, come già si fa da tempo, ma anche altri animali e gli alimenti che ne derivano, dal latte alla carne. E bisogna cominciare a fare controlli, magari a campione, anche sull’uomo”. Soprattutto, “bisogna approntare in fretta dei vaccini da poter somministrare all’occorrenza. Non soltanto vaccini mirati al virus H5N1, ma anche ad altri ceppi che stanno passando ai mammiferi”.

Caruso tiene a puntualizzare come sia “estremamente improbabile che il contagio possa avvenire attraverso il cibo, specie se parliamo di latte pastorizzato o carne cotta. Ma la sorveglianza è fondamentale – insiste – considerata la circolazione in animali che forniscono latte e carne”.

“Organizzare un network di controllo della popolazione” – “Ancora prima che ci sia il passaggio della circolazione virale dai mammiferi all’uomo, gli alimenti vanno dunque controllati” nell’ambito di una sorveglianza da rafforzare. Ma per lo specialista “è importantissima d’ora in poi anche la sorveglianza nell’uomo: dobbiamo capire quanto nel mondo l’aviaria sta circolando, anche a livello sub-clinico, con sintomi non significativi”. Perché se il virus dovesse infettare in modo consistente gli esseri umani, il pericolo è che si adatti all’uomo fino a trasmettersi un giorno da una persona all’altra. “Non è escluso che il virus possa già cominciare a circolare – osserva Caruso – che da qualche parte del mondo si sia già stabilizzato nell’uomo. Non lo possiamo sapere perché non stiamo facendo sorveglianza, però adesso questa sorveglianza si impone, per evitare di trovarci impreparati a una possibile prossima pandemia”.

Riassumendo, esorta il virologo, “dovremmo non solo sorvegliare gli animali, non solo sorvegliare i loro prodotti che vengono commercializzati a fini alimentari, ma anche organizzare un network di controllo della popolazione, anche random, per capire se il virus aviario sta già entrando e circolando in alcune enclavi a livello mondiale, oppure è ancora attesa di adattarsi all’uomo”. Quanto infine a oggetti e superfici, “sappiamo che lì il virus non può sopravvivere – rassicura Caruso – Se esposto all’aria, infatti, l’involucro che lo riveste tende a seccare e il patogeno non è più in grado di infettare cellule bersaglio. E’ inoltre molto sensibile a saponi e detergenti”.

L’infettivologo Bassetti: “Dobbiamo fare attenzione” – “Condivido la preoccupazione e l’appello della comunità scientifica, nazionale e internazionale, relativamente a quanto sta accadendo con l’influenza aviaria H5N1 che oggi è un virus che di aviario non ha nulla perché è diventato dei mammiferi, ora nella mucca, ma prima in altre specie. Dobbiamo fare attenzione – dice all’Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore Malattie infettive dell’ospedale policlinico San Martino di Genova – perché questo virus è molto vicino a noi, più vicino di quanto si possa pensare. A me fa più paura averlo scoperto in una mucca perché noi in occidente siamo più vicini alle mucche che – rispetto al Sud Est Asiatico – ai polli. Dalla mucca prendiamo il latte e la carne, è alla base della nostra alimentazione”. “Dobbiamo dire che non esistono prove di trasmissione interumana dell’H5N1 – avverte Bassetti – ma dobbiamo vigilare attentamente e non fare l’errore, fatto altre volte, che se qualcuno indica l’H5N1 come prossima pandemia subito viene contraddetto. Questo modo non è il migliore, ma lo è essere preparati ad affrontare una possibile pandemia conoscendo i farmaci, i vaccini e le misure di contenimento”.

Pregliasco: “Sorveglianza” – “Impariamo la lezione del Covid, sfruttiamo quello che con la pandemia abbiamo imparato meglio, sulla necessità di rafforzare la sorveglianza integrata uomo-animale per rispondere il più rapidamente possibile ai segnali di rischio e cercare di contenerli” dice Fabrizio Pregliasco, docente dell’università Statale di Milano.

“Niente allarmismi”, ma sorveglianza e pre-occupazione nel senso letterale di occuparci di qualcosa prima che accada. “È corretto comunicare quella che oggi è una possibilità – sottolinea Pregliasco – senza allarmi, ma come conferma di ciò che il Covid ci ha insegnato, a cominciare dalla necessità di ricordare sempre che la natura, l’uomo, i batteri e i virus sono co-presenti. Negli anni ’80, prima dell’arrivo dell’Hiv, si diceva che ormai le malattie infettive non sono più un problema. Lo dicevano anche gli igienisti, i medici delle prevenzione come me: ‘Rivolgiamoci piuttosto alla prevenzione delle patologie cronico-degenerative’. È certamente fondamentale farlo, ma le malattie infettive sono e saranno sempre tra noi”. ù

Ciò premesso, “è importante comunicare con particolare attenzione il livello di allarme. Oggi – ragiona Pregliasco – arrivano facilmente sui media generalisti anche informazioni che in passato restavano ristrette alla cerchia sanitaria. Anche grazie al Covid, inoltre, abbiamo un sistema di alert più sensibile. Dobbiamo proteggerne l’importanza, perché l’errore – chiarisce lo specialista con una metafora – potrebbe essere quello di mettere nel giardino della nostra villetta un super allarme che suona quando passa il gatto. Passa una volta, passa due, al terzo lo spegni e quando arriva il cattivo non lo vedi più. Ecco, evitiamo l’effetto ‘al lupo al lupo’, ma sorvegliamo e prepariamoci”.

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