In ogni sport esiste un momento che spacca in due la storia, che rappresenta una linea di demarcazione, un prima e un dopo. Per la Formula Uno quello spartiacque ha una data, un luogo e un’ora precisa: Imola, domenica 1 maggio 1994, alle 14.17. È morto Ayrton Senna. Esattamente trent’anni fa. L’incidente alla curva del Tamburello non fu soltanto l’evento che privò l’automobilismo del suo talento più grande, ma anche quello che svegliò il circus dall’illusione di essere diventato più sicuro. Infatti all’epoca non si registravano morti dai test di Le Castellet fatali a Elio De Angelis (1986), mentre in gara l’ultimo decesso era avvenuto ben dodici anni prima, Riccardo Paletti nel Gp del Canada 1982.

Per la Formula Uno la scomparsa di Senna fu uno choc emotivo violento, lacerante. L’atto finale che concluse il weekend più drammatico nella storia delle quattro ruote, caratterizzato anche dal terrificante incidente di Rubens Barrichello e la fatale uscita alla curva Villeneuve dell’austriaco Roland Ratzenberger. Il punto di non ritorno che impose una sorta di rivoluzione copernicana nel nome della sicurezza. Da quel 1 maggio 1994 i passi avanti sul tema sono stati tanti e sotto ogni aspetto. Le barriere delle gomme continuano ad essere la miglior protezione per assorbire l’impatto di una monoposto che va a sbattere ad alta velocità dopo essere uscita dal circuito. I crash test, introdotti all’inizio degli anni ’90, sono diventati sempre più rigidi nella valutazione dei rischi degli impatti della vettura, sia frontalmente che lateralmente e posteriormente. Grandi cambiamenti hanno riguardato l’equipaggiamento del pilota, a cominciare dalla parte più vulnerabile, ovvero il collo. Nel 2003 è stato introdotto il collare Hans (Head and Neck Support), una protezione che si attacca alla parte posteriore del casco e che scende fino alle spalle, permettendo alla testa di rimanere stabile in caso di incidente. Il risultato è una riduzione notevole del rischio di fratture alla base del collo.

Altro capitolo: i caschi. Questi hanno subito rilevanti modifiche in particolare dopo il grave incidente capitato a Felipe Massa nel Gran Premio di Budapest del 2009, quando il brasiliano venne colpito alla testa da una molla staccatasi dalla BrawnGP di Rubens Barrichello mentre viaggiava con la sua Ferrari a circa 200 chilometri orari. Dopo vari miglioramenti (come quello del 2011 che prevedeva due strati di fibra di carbonio: una di Kevlar e un’altra di un particolare materiale chiamato Zylon sul visore), si è arrivati al 2019, anno di entrata in vigore della direttiva Fia 8860-2018. Il casco deve superare test di resistenza severissimi, fra cui l’urto frontale di un proiettile di metallo di 225 grammi sparato a 250 km/h e l’impatto di un peso di 10 chili fatto cadere da 5 metri d’altezza. Ci sono prove di penetrazione della visiera e della calotta, per la quale si utilizzano diversi strati di fibra di carbonio per l’esterno. Il casco infine deve essere capace di resistere a una fiamma di quasi 800 gradi senza incendiarsi.

La tuta è diventata una sorta di seconda pelle per il pilota, leggera e particolarmente resistente al fuoco. Devono resistere alla trasmissione del calore per almeno 12 secondi e sono sottoposte a due test. Il primo con una fiamma di 700 gradi indirizzata su ogni singolo strato della divisa, il secondo con una da 1000 gradi sulla tuta completa. L’attenzione per la sicurezza non risparmia nemmeno l’intimo del pilota. Sottocasco, maglia, pantaloni elastici, calzini, tutto deve essere ignifugo e resistere alle fiamme per almeno 5 secondi. L’obiettivo è dare un margine di tempo fondamentale ai commissari per intervenire con i soccorsi. Ultimo punto: gli accessori privati. È vietato indossare collane, orecchini, piercing, anelli o gioielli. Insomma, tutto ciò che potrebbe trasmettere calore. Finito? Niente affatto, perché nell’abbigliamento rientrano ovviamente anche guanti e scarpe. Entrambi sono realizzati per garantire un’elevata protezione al pilota senza alterare la comodità. La Fia quattro anni fa ha introdotto anche i guanti biometrici, in grado di trasmettere informazioni a distanza sui parametri vitali del pilota, quali battito cardiaco e ossigenazione del sangue.

Dall’abbigliamento alla monoposto. I sistemi di sicurezza poste sulle vetture sono diversi: coni antintrusione che proteggono il pilota dagli impatti laterali, uso obbligatorio di cinture per le spalle, una per l’addome e due per le gambe, cavi di ritenzione per le ruote. Ma tra tutte queste due spiccano per importanza: la cellula di sopravvivenza e l’Halo. La prima si tratta della parte che ospita il pilota, sottoposta a una serie di crash test severissimi e realizzata in carbonio. Una struttura capace di proteggere anche dagli incidenti più gravi. Integrato nella parte anteriore della cellula di sopravvivenza c’è anche un estintore, che può essere attivato dalle mani del pilota o da quelle dei commissari di pista. Il secondo elemento invece è la più grande invenzione degli ultimi 20 anni in fatto di sicurezza. Introdotto nel 2018, l’Halo è una barra curva posta a protezione della testa dei piloti. Una sorta di staffa collegata tramite tre bracci a tre punti del telaio. L’obiettivo è quello di evitare che il casco possa strisciare contro l’asfalto o essere colpito da parti di altre vetture in caso di incidenti, ma anche respingere oggetti pericolosi che si possono incontrare in pista, come vari detriti. L’Halo è realizzato in titanio e secondo alcuni studi ha portato ad un incremento del 17 per cento del tasso di sopravvivenza del pilota.

Un percorso sulla sicurezza che viene perfezionato anno dopo anno, anche a scapito della spettacolarità in pista. Una Formula Uno meno leggendaria rispetto agli albori ma sicuramente più sicura. E a dirlo sono anche i numeri. Dal 1952 al 1994 i morti in gara sono stati ben 31 (se allarghiamo il cerchio anche ai test si arriva a 43). Un gruppo al cui interno troviamo, oltre a Senna, anche piloti come Gilles Villeneuve, Ronnie Peterson, Lorenzo Bandini e Wolfgang Von Trips (il suo incidente a Monza fu il più grave della storia e causò anche 14 vittime tra gli spettatori). Dal 1994 al 2024 invece si è verificato 1 solo decesso, quello di Jules Bianchi nel 2014, avvenuto con una dinamica, per certi aspetti, eccezionale. È anche questa l’eredità lasciata da Ayrton Senna.

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