I genitori di Saman Abbas “hanno accompagnato la figlia a morire”. A scriverlo sono i giudici della Corte d’assise di Reggio Emilia nelle motivazioni della sentenza per il femminicidio della 18enne per il quale sono stati condannati all’ergastolo il padre Shabbar Abbas e la madre Nazia Shaheena (ancora latitante). Lo zio Danish Hasnain invece, dovrà scontare 14 anni di carcere. La giovane è stata ammazzata nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021 e solo a novembre scorso è arrivata la sentenza di primo grado. “La Corte ritiene che, pur persistendo alcune incertezze su chi abbia materialmente ucciso Saman Abbas”, si legge nelle 612 pagine di motivazioni, “sussiste una trama densa e serrata di plurimi e convergenti indizi che consente di inferire che Abbas Shabbar, Shaheen Nazia e Hasnain Danish sono parimenti e pienamente coinvolti nell’omicidio e compartecipi della sua realizzazione”.

Cosa è successo la notte dell’uccisione – “La decisione di uccidere Saman Abbas“, si legge negli stracli delle motivazioni, “sarebbe stata concordata dai genitori nel corso delle telefonate con lo zio Danish Hasnain e questo lo dimostrerebbero le condotte dei due in occasione dell’uscita di casa con la figlia, documentate dalle telecamere la notte del 30 aprile 2021. “Anzitutto il fatto che – lo si può affermare con sconfortante certezza – gli imputati Abbas Shabbar e Shaheen Nazia abbiano letteralmente accompagnato la figlia a morire”, scrivono i giudizi. “Può dirsi indiziariamente accertata la comune volontà degli imputati di commettere l’omicidio della loro stessa figlia, la presenza di entrambi sul luogo del delitto, e il comprovato apporto fornito alla realizzazione dell’evento”. Per i giudici (presidente Cristina Beretti, estensore Michela Caputo) “eloquenti ed espressivi” sono le movenze e il contegno dei due, ripresi dalle telecamere del casolare di Novellara, la notte del 30 aprile 2021. La madre, in modo fermo e determinato, bloccando con un gesto risoluto il marito, si inoltra sulla carraia con Saman – “per quel minuto che non consente di escludere sia stata lei l’esecutrice materiale”. Il marito, che “si mostra tormentato, assumendo atteggiamenti che danno conto della drammaticità di ciò che sta accadendo, ma che lui resta ad osservare, senza far nulla”. Confermando così “la sua adesione psicologica piena al fatto”.

La relazione non autorizzata – Secondo la Corte, a giocare un ruolo determinante nelle scelte prese da Saman Abbas nell’ultimo periodo e nelle sue continue fughe dalla comunità, è stata la relazione con Ayoub Saqib, conosciuto su TikTok. “Nonostante i tentativi di intermediazione messi in atto – si legge nelle oltre 600 pagine del provvedimento – in diverse occasioni Saman si era allontanata dalla struttura all’insaputa o nonostante il dissenso degli educatori e del servizio, al fine di incontrare Saqib, descritto da diversi testimoni come insofferente e ostile alla comunità e alle sue regole”.

Il matrimonio forzato e il contesto familiare chiuso – I giudici fanno inoltre un passaggio anche sulle nozze forzate. “Se vi è un dato che l’istruttoria e la dialettica processuale – le uniche deputate a farlo – hanno consentito di chiarire è che Saman Abbas non è stata uccisa per essersi opposta ad un matrimonio combinato/forzato“. Per la Corte di assise questo “è un elemento che nulla toglie e nulla aggiunge alla gravità del fatto, ma che corrisponde ad una verità che la Corte è tenuta a rilevare”. E ancora: “In relazione all’allontanamento di Saman Abbas si ritiene doveroso rilevare che non sono emersi elementi probatori relativamente alla prossima pianificazione o celebrazione delle nozze né si sono avute conferme dell’acquisto dei biglietti per il Pakistan. Della celebrazione di lì a breve del matrimonio con il cugino pakistano non vi è traccia neppure nelle dichiarazioni rese dagli altri familiari della giovane”. Infine, “quanto alle violenze, riferite ma mai denunciate formalmente dalla ragazza, se evidenzia che in relazione all’episodio del lancio del coltello, l’unico circostanziato, sono emerse incertezze e incongruenze rispetto alla sua effettiva verificazione. Non sono emersi altri elementi cui ricondurre comportamenti violenti in danno della ragazza e pregressi ai gravi fatti del 1 maggio 2021”.

Nelle oltre 600 pagine di motivazioni della sentenza il contesto familiare della vittima viene definito “certamente chiuso, oltre che legato a retaggi culturali propri del paese d’origine, che però prima del drammatico epilogo della vicenda non aveva manifestato comportamenti o segnali che potessero lasciare presagire che quei condizionamenti culturali o personali si sarebbero spinti sino al gesto estremo”. La Corte d’Assise del Tribunale di Reggio Emilia parla di un “nucleo familiare legato a determinate tradizioni ma che non aveva mai reagito in modo intransigente o violento alle trasgressioni della ragazza, mostrandosi più interessato a metterle a tacere che a sanzionarle”. Scrivono quindi i giudici: “Neppure gli inquirenti si avevano concepito quel contesto familiare in termini talmente allarmanti da fare sin da subito ipotizzare quanto poi è accaduto, non essendovi pregressi episodi di violenza o di altro tipo che deponessero in tal senso”.

Il fratello “condizionato dalla paura” – In un passaggio del testo, inoltre, si parla del fratello di Saman, considerato testimone chiave dell’accusa. I giudici parlano di “incongruenze, bugie, accuse false”. E ritengono ci sia una “intrinseca inattendibilità e inaffidabilità del narrato” del ragazzo, minorenne all’epoca dell’omicidio e ribadiscono in più occasioni come “nessun riscontro, neppure parziale” sia stato trovato alle dichiarazioni di quello che invece è stato un testimone dell’accusa, in particolare nei confronti di zio e cugini, questi ultimi due assolti dalla Corte. “Tacendo – sottolineano in un passaggio della motivazione – della impressionante serie di non ricordo, oltre 120, con cui si è risposto a larghissima parte dei chiarimenti richiesti dai difensori degli imputati da lui accusati. La sentenza arriva alla conclusione di ritenere “fondato il sospetto che le sue dichiarazioni siano state condizionate dalla paura di essere coinvolto lui nella vicenda e dalla costante preoccupazione di tutelare i genitori, nella convinzione, invero fondata, di essersi ormai conquistato la fiducia degli inquirenti, accettando per tal via anche di accusare soggetti come Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz, di cui aveva professato prima l’innocenza”.

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