Adelmo Cervi aveva 4 mesi quando il 28 dicembre del 1943 i fascisti fucilarono per la loro attività partigiana suo padre Aldo e i suoi zii Gelindo, Antenore, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore al poligono di tiro di Reggio Emilia. Oggi Cervi ha 81 anni: da decenni gira ogni giorno nelle scuole, nelle città, nei paesi di ogni angolo d’Italia, non solo per raccontare la storia di allora ma per fare in modo che l’antifascismo diventi “azione e responsabilità” come canta Vinicio Capossela in Staffetta in bicicletta. Ilfattoquotidiano.it lo intercetta mentre sta tornando dalla Sardegna, dove ha tenuto incontri nelle scuole per settimane. Il tempo di tornare a casa una notte e poi altre conferenze, prima di tornare il 25 aprile sul palco di Casa Cervi, a Gattatico, per la festa che si tiene ogni anno.

Adelmo Cervi, lei da anni è impegnato a raccontare ciò che è stato il fascismo nel nostro Paese. Dall’altra parte una certa “narrazione” dei governanti di oggi a volte sembra voler ridurre le responsabilità del fascismo. E’ così?
Siamo in un momento storico poco entusiasmante. Quando si fa riferimento ad una situazione critica va però precisato che non sono i tempi di mio padre quando ti sparavano nelle piazze e lungo la strada. E’ un momento difficile per il fatto che non si percepisce che la nostra democrazia è a rischio con questa destra che cerca di occupare tutti gli spazi possibili anche quelli dell’informazione. Servirebbe un’opposizione più decisa ma anche una maggiore partecipazione da parte dei cittadini.

La presidente del Consiglio in occasione della celebrazione per fare memoria delle Fosse Ardeatine si è scordata di parlare della responsabilità dei fascisti italiani a cominciare dal questore Caruso che fu condannato a morte per aver approntato la lista di 50 persone da sopprimere alle Ardeatine. Non ha detto che le vittime furono in grande maggioranza antifascisti ed ebrei.
Non ero presente a quell’iniziativa. Le Fosse Ardeatine per me hanno lo stesso valore di Marzabotto, di Stazzema. Mi sento in colpa perché non ho mai partecipato di persona a questa manifestazione ma cosa devo dire di una premier che ha la fiamma tricolore appiccata al vestito? Di una presidente del Consiglio che non fa altro che dire che non c’è più bisogno di parlare di antifascismo e fascismo? Chi non ammette che nel nostro Paese c’è stata una dittatura fascista non può governare l’Italia. Ma è inutile gridare contro Giorgia Meloni siamo noi a dover lavorare perché certi personaggi non siano eletti ai vertici delle istituzioni. Se non ci mobilitiamo rischiamo di avere qualcuno al Governo anche peggio di Giorgia Meloni”.

E poi ci sono il presidente del Senato Ignazio La Russa e le sue frasi sull’attentato dei partigiani a via Rasella dello scorso anno, quando ha detto che si è trattato di “una pagina tutt’altro che nobile della Resistenza” e che “quelli uccisi furono una banda musicale di semi-pensionati e non nazisti delle SS”.
E’ una vergogna. Non riesco nemmeno a pronunciare il nome di uno che ha in casa la statua del “pelatone”. Ma torno a ripetere: dobbiamo vigilare sulla nostra democrazia per garantire anche equità. Mio padre e i miei zii potevano diventare ricchi se pensavano solo a se stessi ma hanno sentito la necessità di lottare per tutti. Dobbiamo smetterla a sinistra di pensare che siamo “pochi ma buoni”: all’avversario non interessa l’aggettivo buoni ma molto quel pochi.

C’è davvero il pericolo di un ritorno al fascismo o di un neofascismo?
Il fascismo è stato ed è il braccio armato del capitalismo. Dobbiamo guardarci da quest’ultimo. La Meloni deve accettare le regole dei potentati economici e finanziari. Questi prepotenti con giacca e cravatta sono il vero pericolo. Non serve dare dei fascisti all’uno o all’altro ma vedere i reali pericoli. Quando mi rivolgo ai giovani chiedo loro di cambiare questa società ingiusta. Mi dicono che sono utopico ma la parola utopia l’hanno inventata per fregarci. Più che il ritorno del fascismo mi preoccupa il fatto che ci siano dei prepotenti che passano per democratici che stanno ai vertici dei nostri Stati.

E il rischio di dimenticare c’è?
Se guardo a Casa Cervi dire di no. Siamo ogni anno sempre di più. L’anno scorso eravamo in 20mila. Ma se parliamo del Paese, non so. Quando vado nelle scuole alcuni ragazzi mi dicono che il 25 aprile è festa perché è la sagra del paese e incontro insegnanti che non sanno nemmeno la storia dei Cervi, di Marzabotto, di Stazzema. Se a scuola si parla di Resistenza solo in quinta superiore; se vado nelle classi e faccio domande sull’antifascismo e il professore mi dice che non rispondono perché sono timidi, allora sicuramente c’è il rischio di dimenticare. Anche i giornali devono fare la loro parte per non scordare. Noi antifascisti non bastiamo per tener viva la memoria. Non basta Adelmo Cervi. Mio padre non è morto perché gli si porti un fiore

È mai stato a Casa Cervi un politico di destra?
Sicuramente qualcuno è passato. In questi anni abbiamo sempre cercato una pacificazione con la destra. Devo essere schietto: certi personaggi non sono felice che siano venuti. Ricordo che qualcuno diceva che bisognava ricevere Gianfranco Fini quand’era presidente della Camera ma per me non è mai stato logico e giusto aprirgli le porte solo perché era un’autorità. Sia chiaro. A Casa Cervi non devono venire solo i compagni ma certa gente non può mettere piede se prima non si è fatta una autocritica spietata. Insomma, La Russa non è il benvenuto. Se poi verrà questo è solo il mio parere non quello dell’Istituto Casa Cervi.

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